Lo storico Andrea Vitello svela il suo ultimo lavoro: “Mi sono innamorato della storia danese perché rifiutò di adeguarsi alle leggi fasciste. Duckwitz fu un ‘Giusto dimenticato’ che ha messo in discussione tutte le sue credenze per mettere in salvo 7 mila ebrei”
Una straordinaria storia di coraggio. Un chiaro esempio di come il bene vince sul male, quando il desiderio di riscatto è più forte di qualsiasi altra cosa. Andrea Vitello, nel suo libro “Il nazista che salvò gli ebrei”, ci racconta una storia unica. Di un eroe e del suo popolo che va controcorrente.
La figura del nazista tedesco Duckwitz fu significativa: fu l’unico politico nazista di alto rango ad opporsi alla deportazione degli ebrei. “Un giusto dimenticato – sottolinea Vitello – che ha messo in discussione tutte le sue credenze per mettere in salvo gli ebrei”. Il caso danese è unico, e il motivo non è banale: rispetto ad altri salvataggi avvenuti nel corso della Seconda Guerra Mondiale in altri paesi, in Danimarca “tutta la popolazione”, dal re fino alle persone appartenenti alle classi sociali più umili, contribuì al salvataggio degli ebrei.
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Era il 28 settembre 1943 quando il nazista tedesco Georg Ferdinand Duckwitz, membro dell’ambasciata tedesca a Copenaghen, venne informato dell’imminente deportazione, nei campi di concentramento, dei circa 7mila ebrei danesi. Immediatamente il nazista avvertì i suoi amici del partito socialdemocratico, che dettero l’allarme dell’imminente pericolo alla comunità ebraica. Gli ebrei riuscirono a salvarsi. Aiutati dalla popolazione danese riuscirono prima a nascondersi dal raid nazista avvenuto la notte tra l’1 e il 2 ottobre, poi a scappare in Svezia paese rimasto neutrale. Tutti gli ebrei presenti in Danimarca furono salvati.
L’empatia e la tolleranza del popolo danese
“I danesi rifiutarono di adeguarsi alle leggi fasciste – ci spiega l’autore – La società si era evoluta all’insegna dell’empatia e della tolleranza e di conseguenza era avversa ad ogni forma di discriminazione. Tutte le persone e le comunità, compresa quella ebraica, venivano incluse nella vita sociale del paese. In Danimarca, infatti, vigeva una delle più antiche democrazie d’Europa, e nel corso dei secoli il parlamento aveva sempre respinto qualsiasi forma di razzismo istituzionalizzato nei confronti di chiunque, non solo degli ebrei”.
“Di questa storia mi ha fatto innamorare il fatto che sono stati salvati quasi tutti i 7mila ebrei deportati. Per i danesi era normale aiutare gli ebrei in difficoltà, in quanto considerati normali persone, compresi gli ebrei “apolidi”, ovvero senza cittadinanza”, sottolinea lo scrittore toscano. “Solamente molti anni dopo la fine della guerra Duckwitz e altri 21 danesi verranno riconosciuti come “Giusti delle Nazioni” dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la memoria della Shoà, ovvero il memoriale di Israele delle vittime ebree dell’olocausto, “ma teoricamente l’intera popolazione avrebbe dovuto ricevere tale titolo”. “Quando l’ente chiese a Duckwitz il motivo delle sue eroiche azioni, queste furono le sue parole: Non ho minimamente pensato che la vita di 7 mila ebrei fosse più rilevante della mia. Alcune volte – evidenzia Vitello – bisogna essere in grado di mettersi nei panni delle altre persone anche andando contro i propri ideali”.
Parallelismo con l’Italia
“In Danimarca nel 2005 ci fu il primo ministro danese liberale del centrodestra che fece le proprie scuse a nome di tutta la popolazione per i 21 ebrei deportati e che non ricevettero asilo in Danimarca, in Italia invece nell’ottobre 2022 ci sono ancora le marce a Predappio con i bambini vestiti da Barilla. Questo ci fa capire che non abbiamo ancora fatto i conti con la nostra storia, o meglio “non vogliamo” ancora farci i conti. Da considerare che nel nostro paese manca ancora un “vero” museo nazionale della Shoah. Anche la stessa Germania ha fatto i conti col nazismo. L’Italia è davvero molto indietro su questo fronte”, afferma lo scrittore.
Anche negli stadi vi sono ripercussioni del genere. In molti match della Serie A si sentono cori antisemiti. Anche quando sulla maglia dei laziali apparve il volto di Anna Frank, ci sarebbe dovuta essere una squalifica, ma ciò non avvenne. Dovremmo farci due domande!”
“Anche dal punto di vista scolastico siamo arretrati, solo il 20% delle scuole italiane parla ai ragazzi della Shoah: i dati mondiali parlano chiaro, siamo il paese che investe meno nel sistema scolastico e questo è decisamente sbagliato poiché così non si forniscono ai ragazzi i mezzi opportuni per venire a conoscenza e per approfondire temi importanti, come questo – sottolinea Andrea. Investendo di più si potrebbero costruire molti più enti, master e corsi di perfezionamento che trattino l’argomento”.
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