Pierpaolo Piccioli ha lasciato Valentino. In quei momenti si vede tutta la crudeltà e la crudità che si cela dietro quel fiabesco mondo che è la moda. Quell’istante in cui tutto diviene cristallino, ci si sveglia da un sogno ad occhi aperti e la creatività deve fare i conti con il danaro. La moda non è solo magia ma anche business, un enorme settore di quella roulette economica, di cui l’Italia è tra le più grandi giocatrici, nonché vincitrice al tavolo.
Pierpaolo Piccioli lascia Valentino
Era sera, la giornata sembrava ormai volta al termine, quando, nel momento in cui ci si stava per rilassare, eccola lì, quella notizia, La Notizia. Pierpaolo Piccioli lascia la Maison Valentino. Una pistola puntata al cuore, una realtà che si sgretola sotto i propri occhi, senza rendersene conto, et voilà, tutto cambia. Una mancanza provocante un dolore e un rammarico che difficilmente verrà assorbito dalle anime creative.
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Inizialmente increduli, ma subito dopo, le ragioni di tale decisione. Sembrava tutto meravigliosamente perfetto, funzionante, equilibrato, intoccabile. Forse troppo, ed è in questi momenti che non bisogna abbassare la guardia… Ci si era dimenticati dell’altra faccia della medaglia, che non aspetta altro che un passo falso per prendersi ogni fiches e far uscire dalla partita l’avversario. Un periodo economicamente pesante durante il quale l’ultima campagna vendita dedicata alle collezioni per il prossimo inverno è andata male.
L’equilibrista cade per la fune spezzata e di conseguenza arriva la brutale decisione. Un’idea che piuttosto che essere splendente è semplicemente sbagliata. Probabilmente una di quelle idee che il sesto senso non sussurra bensì urla di non attuare o seguire. Ma è il gioco al quale le aziende non riescono a fare a meno. Una dipendenza dalle scommesse di possibile vittoria alla lotteria della fama e del mantenimento eterno di un heritage per guadagnare.
Il business che sfila glamour per i tavoli, avvolto da tessuti pregiati, e che poggia la propria mano sulla spalla di un giocatore nell’intento di distrarlo. Rappresentazione ideale della fitta rete di strategie di comunicazione, di reputazione e di rapporti che coesistono nella creazione di un immaginario perfetto, disegnato sotto la forma di un astuto venditore di desideri. E’ la realtà dei fatti che per quanto celata, è cristallina.
Letteralmente, non si guarda in faccia a nessuno, non c’è “umanità intellettivamente creativa” che possa sopravvivere. Per fortuna esiste un’ampia fetta di pubblico entusiasta e appassionata, che legge introspettivamente e intimamente ogni creazione che passeggia nei pensieri del designer e che entra nell’universo allestito dall’estro di un individuo nato per regalare il bello al Mondo.
Alessandro Michele nuovo Direttore Creativo di Valentino
Alessandro Michele è il successore di Piccioli. Ineccepibile, no? No, per nulla. Sfacciataggine a dismisura. Un Kering che aveva ghigliottinato suo figlio, il principe Michele nel proprio Regno, Gucci, impadronendosi nuovamente dei territori, abbattendone le mura, senza alcuna paura. Un regno che è stato la traslitterazione nuda e cruda dell’immaginario mentale, fisico e spirituale di un designer che rimarrà eternamente inciso nella memoria della moda italiana e internazionale.
Un Re Kering che ha devastato, usurpato e rubato la vita e l’identità di un creativo, prosciugandone la vitalità fino a raschiare il fondo. Ne ha goduto il successo, finché in verità, si è svegliato a causa delle grida di un pubblico guidato dalla superficialità che non era più desideroso di un lusso Gucci alla Alessandro Michele.
La Maison Valentino, nei medesimi giorni, stava facendo le valigie per passare dalla holding Mayhoola al Gruppo Kering. Probabilmente si è scelto di segnare in tutti i sensi un cambio di direzione e di farlo comprendere anche a chi del settore non è. Chi lo sa.
Resta con tutta la sua forza, la brutalità della finanza, governatrice del mondo. Non valori e sogni, ma solo potere e propotenza. Un mercato che punta tutto sul lusso espresso dal nome del brand. Ovviamente, non è una novità, non è la prima volta e non sarà l’ultima, come non lo sarà lo “svendersi” delle maison al miglior offerente. Le classiche dinamiche che avvengono sotto gli occhi di tutti, e “tutti” che divengono ipocriti.
E’ interessante però, come questo fatto sia stato particolarmente forte a livello emotivo e complesso da metabolizzare. Una vera e propria percezione di abbandono. Fa comprendere come Pierpaolo Piccioli sia stato incarnato da un sentimento comune, espressione di una bellezza, una leggerezza d’animo e un coinvolgente vagambondaggio introspettivo. D’altronde la differenza che sussiste tra il lusso e la moda è il motivo per cui l’appassionato si affeziona ai direttori creativi e ai sogni che condividono, mentre al compratore di lusso brillano gli occhi per il brand.
“Siamo troppo giovani per essere già così senza sogni”
Bisogna rimanere fedeli alla citazione di Pierpaolo Piccioli: “Siamo troppo giovani per essere già così senza sogni“, calandosi nella controversa visione creativa di Alessandro Michele, lasciandosi emozionare dalle sue idee e riflettendo con i messaggi che vorrà trasmettere, senza precludersi nulla. Dal suo canto, avrà di certo compreso dal passato, i rischi dell’avvolgere con tutto il suo essere l’intera direzione creativa di una maison.
Il tavolo è pronto per giocare la prossima partita: il croupier ha mischiato le carte, Pierpaolo Piccioli e Alessandro Michele sono determinati a mostrare una scala reale sul più bello della Milano Fashion Week di settembre.
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