La mafia di una volta non esiste più: ce n’è un’altra in cui prevale l’inabissamento. L’analisi dell’esperto di Storia contemporanea
L’ultimo dei Corleonesi si è consegnato con docilità. L’ex latitante, dopo l’arresto di lunedì, potrebbe essere trasferito nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila. Ad eccezione dei restanti quattro latitanti ancora in circolazione, “l’arresto di Matteo Messina Denaro chiude un’epoca della storia criminale mafiosa. Era l’ultimo dei grandi latitanti, protagonista di una strategia risultata perdente per Cosa nostra”. Così Salvatore Lupo, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Palermo e autore di numerose pubblicazioni sul fenomeno mafioso, dalle sue origini ai nostri giorni. Legge il fatto di cronaca come logica conseguenza del fallimento di una stagione, nata negli anni ’70, che segnava discontinuità rispetto al passato.
La fine di un’epoca
La mafia di una volta, quella di Riina e Provenzano, non c’è più. “Era il tempo in cui un gruppo criminale ha conquistato il potere mafioso scalando dall’interno l’organizzazione per poi lanciare l’attacco diretto alla Stato”, spiega Lupo. “Quella di oggi – aggiunge – ripercorre le strade delle origini. Dove prevale l’inabissamento. In realtà, la fine di quel delirio criminale inizia con l’arresto del boss corleonese. Oggi è arrivato l’ultimo tassello di una risposta corale da parte dello Stato. E, in questo frangente, un ruolo non marginale l’ha avuto anche l’opinione pubblica che oggi come nel 1992 plaude all’arresto del boss”.
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Basta con l’esaltazione del valore criminale
“Va sottolineato come sia stata errata una visione che assegnava al latitante l’attributo dell’imprendibilità” – prosegue il professore – La lunga fuga dalla giustizia non va certo sottovalutata, ma neppure sopravvalutata. I boss in passato non venivano acciuffati perché non erano ricercati. Se la mafia ha potuto alzare la testa negli anni ’70 è perché non ha trovato una corrispondente reazione da parte delle istituzioni. Dagli anni ’90 non è andata più così. Bisogna riconoscere che questo è stato un merito collettivo. I grandi capimafia hanno perso il carattere dell’invincibilità. Sono stati presi tutti, uno dopo l’altro”.
Il voltafaccia di Cosa nostra: “Ora vive di collusioni”
Le Forze dell’ordine, la magistratura, la politica, l’opinione pubblica sono sembrate per anni, agli occhi delle cosche, incapaci di reagire. “Ma poi la reazione c’è stata – afferma l’esperto – Le inchieste e le collaborazioni hanno fatto franare progressivamente questa visione di onnipotenza. L’operazione di oggi suggella questa tendenza che è già evidente da lustri. Per certi versi la mafia contemporanea sembra tornata ai suoi albori. Non significa che è stata vinta. Ma che ha assunto quelle forme con cui si era manifestata per decenni, fatta di crimini e collusioni, ma meno di violenza. Speriamo che questi mutamenti siano il preludio della sconfitta come si auspicava Giovanni Falcone attribuendole il carattere di fenomeno umano e vincibile”. “In primo luogo va considerato che il boss ha bisogno di esercitare il proprio potere all’interno del suo territorio. Può disporre di ingenti disponibilità economiche, ma non può allontanarsi. Lì va cercato. In secondo luogo si osserva che la mafia siciliana non gode più di quelle tutele e protezioni che arrivavano dalle Americhe. Oggi Cosa nostra isolana è più sola. E anche una malattia può segnare la fine di una storia criminale”, conclude Lupo.
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