Un “calcio” alla guerra: in Ucraina riparte il campionato. Ma serve davvero?   

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Oggi ricomincia la sfida allo Shaktar che esordirà contro il Metalist. Siamo davvero di fronte a una svolta?

Prove di normalità in Ucraina, nazione martoriata dalla guerra scoppiata il 24 febbraio a seguito dell’Operazione Speciale avviata in Donbass dall’esercito russo. Oggi, infatti, riapre i battenti il campionato di calcio della massima serie ucraina. A otto mesi di distanza dall’ultima partita ufficiale giocata, tornano in campo i principali club ucraini, con lo Shakhtar Donetsk che inaugura questo nuovo e strano campionato, sfidando il Metalist nella gara d’esordio. La squadra dell’ex allenatore italiano, Roberto De Zerbi, che ha lasciato la guida tecnica dello Shakhtar proprio nelle prime settimane dopo l’inizio del conflitto, sarà chiamata a difendere il titolo. 

Le nuove norme: come cambia il campionato 

Le regole sono chiare e piuttosto stringenti. Le partite si giocheranno ovviamente a porte chiuse, sono stati costruiti dei bunker, rifugi antiaerei, vicino agli stadi, proprio per rendere possibili eventuali fughe dei calciatori e degli staff tecnici in caso di attacco russo. Fra i luoghi scelti per la disputa delle gare, non figurano chiaramente tutte le città dotate di stadi, in quanto, specialmente nelle regioni orientali dell’Ucraina, l’esercito russo sembrerebbe aver ormai preso il sopravvento. Gli stadi dove andranno in scena le sfide del campionato ucraino, seppur a porte chiuse, saranno Kiev, Kharkiv, Odessa e persino la regione di Zaporizhzia, dove in questi giorni si stanno svolgendo aspri combattimenti nei pressi della centrale nucleare, luogo cui tutto il mondo guarda con preoccupazione.

Una scelta, quella di far ripartire il campionato, che cozza con lo spirito del popolo ucraino e con i suoi pensieri. Una nazione assediata dalla guerra che ha portato disoccupazione, paura, ridisegno dei confini, morti e sfollati, come può essere interessata al calcio? Di che calcio staremmo parlando, poi? Uno sport fatto di bunker fuori dagli stadi, di impianti a porte chiuse, di tifosi impegnati al fronte, mentre i propri beniamini segnano un gol dal sapore amaro, desolante, disilluso.

La sensazione, senza voler scomodare la banale retorica qualunquista del “ritorno alla normalità”, è che in alcuni ambienti, specie nelle stanze segrete dei governanti di Kiev, si voglia far passare un messaggio di totale serenità e controllo della situazione, mentendo persino a se stessi e dando vita ad una competizione sportiva che non potrebbe aver meno valore di questa.

Ripeto, a costo di sfiorare la ridondanza, quanto può interessare ad un cittadino di Kiev, minacciato dalle bombe, dal possibile regime-change ucraino o dall’invasione dell’esercito russo, che la Dinamo Kiev segni un gol? Ma poi, visto che sembra aver ormai preso piede questa logica da “porte chiuse”, che senso ha ricominciare a giocare senza il piacere di un pubblico festante e caloroso alle spalle? Chi lo capisce è bravo e infatti me lo chiedo dal 2020. Mi chiedo come possa la maggioranza delle persone, aver accettato, continuando a farlo in taluni casi, questo tipo di approccio al calcio, asettico e privato della sua componente principale. Il calcio, come lo sport in generale, rappresenta sì un mezzo potente, capace di veicolare messaggi d’amore, pace e reciprocità, capace di essere sfruttato per fini politici, non sempre dei migliori, ma in questo caso, come durante ogni guerra, andrebbe lasciato da parte e ripreso solo a conflitto finito.

Difficilmente la partita fra Shaktar e Dinamo Kiev, prevista per il 15 novembre, potrà rappresentare un revival della famosa “Tregua di Natale”, in cui i soldati francesi, inglesi e tedeschi, impegnati sul drammatico fronte occidentale della Grande Guerra, diedero vita ad una partita di calcio, nel giorno di Natale del 1914, in grado di fermare le ostilità belliche per qualche ora.

Augurandosi il contrario, manco a dirlo, si getta uno sguardo lucido, razionale e forse un po’ cinico, nei confronti di questa situazione. Non sarà un pallone che rotola a fermare i colpi di artiglieria russa che da giorni minacciano anche le città più a ovest del Paese, non sarà un gol segnato a cambiare le sorti di una guerra ormai in corso, ormai iniziata, e che terminerà solo con la sconfitta dell’una o dell’altra parte. Sarebbe curioso, per non dire tragico, qualora il popolo ucraino, assuefatto e appassionato dalle vicende calcistiche del proprio Paese, si distraesse dimenticando l’incombenza dei russi alle porte di casa. Prove di normalità? Magari sì, ma specie di questi tempi, fare i conti con la realtà, e quella Ucraina non è delle migliori, sarebbe la miglior scelta.

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