Il lavoro visto dal cinema: da Metropolis a The Office

Il cinema, specchio della vita umana, ha rappresentato negli anni tutte le sfaccettature della nostra società, compreso il tema del lavoro, centrale nella vita umana. Ecco alcuni "capolavori" che parlano di lavoro nel giorno della Festa dei Lavoratori.

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Quando si parla di 1°maggio il primo pensiero va ad una parola: lavoro. Oggi infatti si celebrano i lavoratori e le lavoratrici di tutto il mondo e l’attività umana per eccellenza. Sin dai tempi della Bibbia il lavoro è stato centrale nella nostra vita, con le sue mille sfaccettature e accezioni; ed è per questo che il cinema, lo specchio di ogni realtà, ha cercato di dipingerlo, per coglierne tutte le facce, parodiandolo e a volte condannandolo. Ecco alcune pellicole che parlano e raccontano l’anima del lavoro.

Lavoro, Metropolis di Fritz Lang (1927)

E’ il 1927 quando nelle sale tedesche arriva Metropolis. Il film non convince il pubblico, che non riesce a riconoscere dietro questo film uno sconvolgente ritratto della società del tempo. L’opera di Lang si apre con un confronto fra due mondi: quello dei ricchi, tranquillo e in mezzo a giardini rigogliosi, e quello degli operai, buio e faticoso. Nel film i lavoratori, che si struggono fra le macchine sono paragonati a vittime sacrificali che servono una macchina, la macchina M che alimenta la città di Metropolis.

Il protagonista Freder, ricco ed ignaro di tutto ciò, scopre questo mondo del lavoro distopico e con la giovane insegnante Maria cerca di cambiare il sistema. E’ proprio allora che si realizza il folle piano del padre di Freder, un magnate senza scrupoli e dedito solo al guadagno. Con uno stratagemma fa rapire Maria e la fa sostituire con un robot dalle sue sembianze. Il robot incita gli operai a fare del male a Freder, continuando a servire i buoni padroni; non sanno però che quella macchina così simile a loro verrà prodotta in serie e li sostituirà nelle loro mansioni. Fortunatamente Freder riesce a svelare l’inganno e a salvare Maria prima che suo padre commetta l’irreparabile.

Il film è una pellicola muta ma trasmette in maniera chiarissima il messaggio con cui Lang ci avverte, e che è più attuale che mai: il lavoro assiduo trasforma gli uomini in macchine, talmente presi dai loro compiti e dal guadagno che non si accorgono nemmeno che le stesse macchine li stanno sostituendo.

Il robot di Metropolis, che fece molto scalpore all’epoca, diventando un vero e proprio simbolo cinematografico, si comporta come un essere umano, e gli operai lo scambiano per tale. Fritz Lang avverte il pubblico di questa terrificante prospettiva, che oggi con i progressi fatti dall’IA non sembra poi tanto lontana.

Lavoro, Tempi Moderni di Charlie Chaplin (1936)

Anche questo film il tema del lavoro è visto in maniera critica, ma l’indimenticabile Charlie Chaplin riesce a farne una parodia che ci fa ridere ma allo stesso tempo riflettere. La pellicola, del 1936, dipinge in maniera umoristica la società americana, dove nelle fabbriche era ormai largamente praticata la “catena di montaggio”, un sistema veloce ed efficiente per aumentare la produzione. Questo sistema alienante verrà mandato in tilt dal maldestro Charlot, interpretato dallo stesso Chaplin.

Nel film vediamo il simpatico vagabondo lavorare in una fabbrica, dove fra mille ingranaggi, leve e mansioni comincia ad impazzire. Charlot ha le allucinazioni, vede bulloni da stringere anche nei bottoni della giacca di una segretaria. Il lavoro è continuo, con pochi turni di pausa e una novità sta arrivando in fabbrica: una nuova macchina che permetterebbe di lavorare senza fermarsi per mangiare o dormire. Il marchingegno però non funziona e il povero Charlot viene “mangiato” dagli ingranaggi.

Il film nella sua commedia surreale vuole raccontare una storia reale: quella dei lavoratori alienati. Alienazione è il tema centrale del film, quando l’uomo perde sé stesso nel lavoro e diventa un altro, alienus, e perde la sua anima fino ad essere “divorato” dal sistema che serve senza mai fermarsi.

Lavoro, Fantozzi di Paolo Villaggio e Luciano Salce (1975)

Passando nel nostro bel paese non si può non citare il leggendario, anzi tragico, Fantozzi. Il personaggio, creato dallo scrittore e attore genovese Paolo Villaggio, è il dipinto dell’uomo borghese italiano. Villaggio nell’interpretazione che ne fa racconta tutti i drammi e le gioie di questo piccolo uomo, che vive fra le pressioni della famiglia e della Megaditta per cui lavora; lo fa in maniera leggera, comica, senza criticare quel mondo borghese in cui si viene schiacciati dalla burocrazia e dalle scartoffie.

Questo perché le (dis)avventure di Fantozzi sono un po’ quelle della nostra vita; quei personaggi così divertenti e grotteschi come quelli della signorina Silvani, del ragionier Filini o del Mega Direttore (anche i nomi sono vere e proprie parodie), sono tutte facce che quotidianamente si incontrano negli uffici e nei posti di lavoro proprio perché il lavoro ci accomuna tutti.

E in questa comunione di drammi che si realizza la meraviglia: e quindi ridiamo quando il Mega Direttore chiama il ragionier Fantozzi “Fantocci”, o quando il poveretto sbatte la testa inchinandosi davanti alla statua della madre del Mega; perché tutti noi siamo Fantozzi. E forse quel piccolo, grande uomo può esserci d’esempio a ridere di quel capo antipatico o di quel collega che vuole stare al centro dell’attenzione.

Lavoro, The Office di Ricky Gervais (2005)

“Cosa preferisco se essere temuto o amato (dai miei dipendenti)? Entrambi, voglio che le persone abbiano paura da quanto mi amino” questa è la domanda a cui segue la risposta di Micheal Scott, l’iconico personaggio interpretato da Steve Carrell in The Office. Non si tratta di un film ma una di serie TV che racconta in maniera comica la vita in un ufficio di un’industria cartiera diretto dallo stesso Micheal.

Alla Dunder Mifflin, questo il nome dell’azienda, lavorano numerosi e bizzarri impiegati, con le loro stranezze e le loro manie. La serie è un mockumentary, un finto documentario, per cui riusciamo a calarci perfettamente nelle dinamiche di ufficio come se anche noi lavorassimo lì e vivessimo le comiche vicende dei protagonisti. C’è Dwight, nato contadino e divenuto venditore, che non ha proprio “tutte le rotelle al loro posto”. C’è Jim che ama segretamente la receptionist Pam ed insieme tormentano con divertenti scherzi Dwight. Pam è fidanzata con Roy e subisce costantemente le attenzioni di tutti gli uomini dell’ufficio. C’è Andy con i suoi improbabili scatti d’ira, Stanley che odia tutti e tanti altri coloratissimi personaggi.

Il manager dell’azienda è Micheal Scott un personaggio surreale che vede l’ufficio come una casa e i dipendenti come una famiglia. Micheal sconfina spesso, fa battute ed imbarazza sempre tutti per sembrare “un capo simpatico” ma risultando però ridicolo. Le situazioni divertenti alla base di The Office si basano tutte su questo confronto fra gli impiegati, con le loro personalità, che cercano di vivere normalmente la loro vita in ufficio e Micheal che la stravolge in maniera comica.

Qui il lavoro è visto come un punto di incontro per persone fra loro molto diverse; la Dunder Mifflin non è solo un posto di lavoro, ma un vero e proprio riferimento per tutti quanti anche per gli spettatori che si ritrovano anche loro in queste situazioni così bizzarre ma anche così reali. Ed inevitabilmente anche noi finiamo a far parte della grande famiglia di The Office.

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