Trump minaccia anche i medicinali italiani: i dazi rischiano di svuotare le farmacie?

Se il presidente Usa dovesse decidere di procedere con l'introduzione di dazi al 20% sui prodotti farmaceutici, l'Italia rischierebbe di perdere 2 miliardi di euro. Una cifra imponente che metterebbe a rischio posti di lavoro, oltre a costringere i produttori ad aumentare i prezzi dei medicinali

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Il settore farmaceutico italiano potrebbe non essere più al sicuro dai dazi statunitensi. L’ultima giravolta del presidente Usa, Donald Trump, che ha annunciato eventuali tariffe maggiorate sui medicinali importati negli Stati Uniti, ha dato vita ad una riflessione sulle possibili conseguenze di questa sua presa di posizione. L’Italia è il primo Paese in Europa per produzione di farmaci e il secondo per esportazioni e, in quanto tale, subirebbe in maniera grave e totalizzante l’effetto di queste tariffe.

I medicinali che dall’Italia sono esportati negli Stati Uniti valgono circa 11 miliardi e, ipotizzando che i dazi imposti rientrino tra quelli generalizzati su cui è imposta una tariffa del 20%, nei prossimi anni il settore potrebbe perdere 2 miliardi di fatturato. Una cifra esorbitante che comporterebbe una crisi senza precedenti in un ambito che impiega 70mila persone direttamente e altrettante nell’indotto. Al momento lo scenario sembra solo un’ipotesi, ma avrebbe già dimostrato quanto il legame tra l’export italiano e gli Usa possa rivelarsi un’arma a doppio taglio.

Il settore della produzione di farmaci, grazie alle regolamentazioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, è sempre stato protetto dalle barriere commerciali proprio per l’importanza che questo settore rappresenta nella vita umana. Nonostante questa presa di posizione, Donald Trump potrebbe decidere di agevolare la sua Nazione con l’introduzione di tariffe, riportando la produzione di farmaci negli Stati Uniti. In ogni caso, la creazione di un medicinale finito consiste in un processo lungo e composto da varie parti, che prevede anche l’utilizzo di eccipienti e principi attivi che provengono da Paesi diversi nel mondo.

Proprio questa frammentazione rende il settore ancora più esposto alle conseguenze dei dazi. Nel momento in cui Trump dovesse procedere con questa decisione, allora ogni parte del settore potrebbe essere sconvolto dai contraccolpi. La speranza al momento è che le negoziazioni tra Usa ed Europa proseguano positivamente, evitando quindi l’entrata in vigore delle tariffe generalizzate che sono state sospese per 90 giorni.

Dazi di Trump sui farmaci: cosa rischia l’Italia?

La valutazione attuale vedrebbe un primo effetto immediato, ovvero la carenza di medicinali per i cittadini statunitensi, seguito però da una serie di possibilità che interesserebbero in primis il nostro Paese. Innanzitutto, il calo del fatturato comporterebbe la possibilità di un taglio dei dipendenti del settore farmaceutico italiano.

Nel nostro Paese i farmaci sono prodotti da varie multinazionali, italiane ed estere, ma si lavora anche con aziende controterziste“, cioè che fabbricano il medicinale finito per altre società, o mettono a disposizione i disposizione i principi attivi. Proprio queste realtà sarebbero le prime a dover far fronte ai dazi. “Col governo e le istituzioni europee dobbiamo fare il possibile per tutelare questa specificità italiana dalla guerra commerciale“, ha spiegato Stefano Collatina, presidente di Egualia, associazione dei produttori dei farmaci equivalenti.

La possibilità di aprire all’export verso nuovi Paese sarebbe un progetto a lungo termine, in quanto non è possibile trovare nuovi clienti nel mondo in tempi brevi. In ogni caso, a subire le conseguenze delle tariffe sarebbero Paesi diversi, compresi quelli che si occupano di produrre i componenti necessari a creare il farmaco vero e proprio. In particolare, si ipotizza che l’aumento dei costi possa colpire i principi attivi provenienti da Cina e India, fondamentali per la produzione di generici e farmaci cronici, e i prodotti finiti provenienti dall’Europa.

In questo senso quindi, le aziende italiane potrebbero risentire sia della diminuzione della domanda da parte del mercato statunitense sia dell’aumento dei costi delle materie prime. Di conseguenza, i farmaci che già oggi hanno bassi margini di guadagno potrebbero divenire antieconomici. Le categorie maggiormente a rischio, secondo quanto riporta Open, sarebbero molteplici: dai medicinali per le infiammazioni croniche, passando a quelli per la cura del diabete, del colesterolo, dell’epilessia e della depressione.

Inoltre, coloro che sarebbero maggiormente a rischio sono i cittadini vulnerabili. Nel momento in cui i costi della produzione dovessero aumentare a monte, quindi agendo sulle componenti dei farmaci, le aziende produttrici in Italia si vedrebbero costrette ad aumentare il prezzo di vendita per assorbire la differenza. In questo modo, la crescita del prezzo dei medicinali potrebbe divenire un nuovo disincentivo alle cure per quei pazienti che già oggi faticano a coprire le spese che non sono supportate dal Servizio Sanitario Nazionale.

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