Lo sport è uno di quegli ambiti in cui si riescono a vivere emozioni che non si riuscirebbero a percepire in nessun altro contesto. Ci si affeziona ad atleti che divengono miti grazie al talento. Si innescano dinamiche capaci di unire sotto un unico credo differenze politiche e sociali. Si giunge alla massima espressione di rispetto, passione e sacrificio. Ogni sport conta i propri record, i propri tifosi e i propri rituali, il tennis ne è di certo un emblema.
Il 19 novembre 2024 passerà alla storia come uno dei giorni più malinconici e tristi del tennis spagnolo. La sconfitta della Spagna contro l’Olanda ha sancito un’assordante eliminazione ai quarti di Coppa Davis a Malaga, ma rimarrà come la data che ha sancito la fine della leggendaria carriera di Rafael Nadal.
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38 anni, 1307 partite in singolare e 219 in doppio, 103 titoli, in cui si contano 22 Slam, 209 settimane da numero 1 del mondo, due medaglie d’oro olimpiche, 5 Coppe Davis e quasi 135 milioni di dollari di montepremi. Semplicemente quel fuoriclasse di Rafael Nadal. Sarà ricordato come il tennista più forte sulla terra battuta e come l’incarnazione simbolica dell’Impero Romano nei Fab Four (Roger Federer, Novak Djokovic e Andy Murray). Forza, resistenza, metodicità. Un impero costruito con 14 titoli al Roland Garros, un record che sembra inarrivabile.
Sugli spalti del Martin Carpena ci si siede con il fiato sospeso e gli occhi lucidi in un silenzio assordante quando la prima giornata dei quarti di Coppa Davis si apre proprio con il match di Nadal contro l’olandese Van de Zandschulp. Un onesto atleta ma che sarebbe stato battuto senza batter ciglio da un Rafa dei tempi d’oro. Ma il tempo è l’unico rivale che nessun campione potrà mai battere. Il match ha visto vincere l’olandese più per i demeriti dell’avversario che per i suoi con un duplice 6-4.
Poi, quel momento che si sperava non dovesse mai arrivare, “questo è il mio ultimo giorno da tennista professionista“: l’addio di Nadal. “Non è andata come speravo, ma ho dato tutto quello che avevo” si confida il tennista che con il cuore in gola ammette che “non è mai facile smettere, perché amo ancora il tennis da morire ma non riesco più a essere competitivo, il corpo non me lo permette più“.
“Certo che si ricorderanno di me per i tornei vinti, ma ci tengo di più ad essere ricordato come una brava persona“, conclude così il suo saluto d’addio il campione maiorchino visibilmente commosso ringraziando la sua famiglia e il suo team. Un’affermazione che è la sintesi della sincerità d’animo dell’atleta. Non deve temere, sarà come desidera, perché per quanto possano essere a dir poco inarrivabili i suoi successi, rimarrà scolpito nella memoria di appassionati e non il suo essere lo sportivo per eccellenza, dallo sguardo vispo e modesto e con la stima di chi non prova invidia.
La lettera di Federer a Nadal
Ma gli occhi rigonfi di lacrime li aveva già procurati il suo fraterno rivale Roger Federer. Proprio prima del match, il tennista svizzero ha divulgato una lettera per salutare lo spagnolo: “Vamos Rafa!“. Con ironia e onestà Federer ha riconosciuto che “sulla terra rossa mi sembrava di entrare nel tuo giardino e mi hai fatto lavorare più duramente di quanto avrei mai pensato di poter fare“.
Nello scherno cui si erano reciprocamente abituati, lo svizzero descrive con piacere il gusto per la superstizione che Rafa annientava con rituali sui generis ma che lo hanno reso unico. “Non sono una persona molto superstiziosa, ma tu hai portato tutto a un livello superiore – apprezza Federer – dall’appoggiare le tue bottiglie d’acqua come soldatini giocattolo in formazione, sistemarti i capelli, fino ad aggiustarti le mutande. In questo viaggio che le due icone hanno fatto insieme, “morivamo sempre dal ridere, sfidandoci fino a quando non eravamo stremati in campo e poi – ricorda lo svizzero – dovevamo letteralmente sorreggerci l’un l’altro durante le cerimonie dei trofei“.
Il maiorchino è un tennista non come gli altri, una persona che si è spesa concretamente per i giovani, fondando la Rafa Nadal Academy nel 2016 con la volontà di dare possibilità di formazione a chiunque. “Mirka e io siamo davvero contenti che i nostri figli si siano allenati nelle tue accademie, anche se ho sempre temuto che sarebbero tornati a casa giocando a tennis da mancini”, conclude scherzando Roger. Nella commozione che si può provare solo quando si vivono rapporti umani di questo calibro, “voglio che tu sappia che il tuo vecchio amico tiferà sempre per te e lo farà con altrettanta forza per tutto quello che farai dopo”.
Quindi, l’era dei Fab Four è ufficialmente tramontata e con questa anche uno stile di tennis che è colonna portante per le nuove generazioni di atleti. Con quel pizzico di nostalgia da sorriso amaro, ci si inoltra in quello che sarà inevitabilmente il “post Fab Four“. Nadal, Federer, Djokovic e Murray rimarranno, così, il termine di paragone e di giudizio con cui saranno valutate le doti dei neo-fenomeni.
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