Elly Schlein ha accettato la sconfitta del referendum e ora, come se nulla fosse accaduto, continua la sua battaglia verso le Politiche del 2027. L’obiettivo resta quello di costruire un’alternativa degna di questo nome da contrapporre alla coalizione di Giorgia Meloni. Già da ieri, la segretaria del Pd è tornata a puntare tutto sul tema della sanità, uno dei presunti punti deboli del governo, ma solo per complessità interne al tema e al contesto storico politico. Il proposito, ovviamente, è far leva sulla rabbia degli italiani.
Il problema di fondo su cui la segretaria del Pd dovrebbe concentrarsi, però, è un altro. Secondo l’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani, realizzato da Only Numbers di Alessandra Ghisleri per Porta a Porta, il centrodestra si attesta al 49,4% dei voti, mentre il campo largo segue al 46,3%; gli astenuti-indecisi, invece, raggiungono il 48,5%. Il partito del non voto continua a raccogliere consensi preoccupanti, mentre il testa a testa tra le due facce della politica italiana prosegue senza sosta.
Leggi Anche
Puntare su nuovi argomenti caldi – sanità, lavoro, piano industriale, caro bollette, ecc. – funziona se accompagnato da un piano politico finalizzato a comprendere in che modo smuovere le posizioni di coloro che nel voto non vedono più uno strumento utile. Il referendum dell’8 e 9 giugno è stata l’occasione per Schlein di allinearsi alle dichiarazioni pronunciate da quasi tutti i promotori di un quesito fallimentare: “Non possiamo ignorare gli italiani che sono andati alle urne, che sono più di quelli che hanno permesso al governo Meloni di vincere nel 2022“.
Una posizione che la stessa Presidente del Consiglio aveva assunto nel corso del governo Renzi in relazione al referendum del 18 aprile 2016, come ricordato da Schlein solo due giorni fa. L’ex astro nascente del Pd si addentra sempre più nei meccanismi della politica, rischiando però di farsi ingurgitare e di dimenticare come far presa sulla cittadinanza. Temi che sono stati affrontati su Il Foglio da Adriano Sofri, che ha voluto ricordare al volto dem l’importanza di “toccare le persone, e farsi toccare“.
Il pericolo per un leader politico, secondo il giornalista, è quello di cadere anche involontariamente nella demagogia. Una degenerazione della democrazia, per cui al normale dibattito politico si sostituisce la propaganda finalizzata solo a lusingare il popolo per conquistare il potere. Il principale impegno del partito democratico, così come dell’intera area del centrosinistra, deve essere quello di comprendere in che modo “persuadere un numero crescente di quel numero crescente di persone che non votano“.
Le modalità finora adottate dalle opposizioni si sono rivelate tragicamente fallimentari. Meno del 30% degli italiani ha accolto l’appello del centrosinistra, che ha dovuto accettare una sconfitta dolorosissima cercando il lato positivo. Come riporta Sofri, però, il semplice vantarsi di una minoranza di votanti, quella giunta alle urne, per poi metterlo a confronto con le percentuali ottenute dal governo attuale, “fa una brutta impressione agli astenuti di qualunque risma“.
Il motivo? Così, si rischia di cadere in un bipolarismo forzato, che è sempre più formale e meno sostanziale. La dichiarazione di Schlein lascia intendere che la maggioranza di coloro che hanno deciso di non esercitare il loro diritto voterebbero per la destra. Una massima che però esclude numerose altre possibilità, dalla mancata rappresentazione politica, fino all’incomprensione stessa dei quesiti presentati. Il Pd, quindi, deve concentrarsi più sulle origini dell’astensionismo che sulle sue conseguenze.
Un proposito che lo allontanerebbe ancora di più dal M5S e che gli permetterebbe di comprendere anche gli errori del passato. I cinque quesiti del referendum, promossi in parte dalla Cgil, non hanno fatto presa sulla popolazione. Ora è necessario comprenderne il perché. Senza cadere nella banalità, non si può escludere che il quinto quesito, quello sulla cittadinanza agli stranieri, possa aver trascinato i democratici verso i limiti della demagogia. “Fare dei migranti una risorsa, dell’immigrazione un enorme problema: l’insidia è di fare il contrario più o meno distrattamente“, scrive Sofri portando alla luce un problema finora troppo ignorato.
Un italiano su tre, di quelli giunti alle urne, hanno espresso la loro contrarietà a dimezzare il tempo necessario a ottenere la cittadinanza italiana per gli immigrati che lavorano regolarmente in Italia. Un dato che al centrosinistra dovrebbe dare uno spunto di riflessione. Perché il tema dell’immigrazione non può essere sdoganato?
La narrazione delle risorse che i migranti potrebbero diventare per il Paese non fa presa in un’Italia in cui le nuove generazioni fuggono all’estero alla ricerca di lavori ben pagati e in cui le donne faticano sempre più a diventare madri. Il timore della sostituzione etnica dilaga anche in quegli ambienti che fino a pochi anni fa difendevano il diritto di coloro che lasciano il proprio Paese alla ricerca di prospettive migliori.
Di fronte a un fallimento tale, il Partito democratico deve tirare le fila del suo programma. Nella consapevolezza di avere una fetta di elettori stabili, che da mesi non si smuovono e non gli permettono di raggiungere i consensi del premier, resta da comprendere come avvicinare coloro che nella politica non vedono più uno strumento, ma solo un fermo immagine. Il volto del Pd deve dotarsi di un corpo, di una struttura concreta che lasci da parte la propaganda in favore di una semplicità che spesso paga più dell’impegno retorico.
© Riproduzione riservata