“Il nostro obiettivo era raggiungere il quorum per cambiare leggi sbagliate. Questo obiettivo non lo abbiamo raggiunto“. Maurizio Landini ci mette la faccia e incassa dignitosamente il colpo dopo il fallimento del referendum. Un voto che ha schiacciato, almeno per ora, le speranze di rivalsa del centrosinistra, che avrebbe voluto dimostrare ai cittadini italiani e al governo che l’alternativa esiste e che è sostenuta dalla cittadinanza.
Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni si aggrappano ad una presunta nota positiva, ovvero che i 15 milioni di italiani giunti alle urne rappresenterebbero una percentuale maggiore di quella che nel 2022 ha permesso la vittoria del governo Meloni. Un dato che sembra stridere, una sorta di disperato tentativo di dimostrare che i cinque quesiti presentati all’Italia non sono stati un reale disastro.
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Ma come è possibile mettere insieme i consensi nei confronti di una coalizione politica, con un programma, degli obiettivi e delle speranze, con il voto nei confronti di cinque temi – 4 sul lavoro e 1 sulla cittadinanza – che sono stati estremamente politicizzati, tirati a destra e sinistra, e svuotati del loro reale significato? Landini, nel mezzo di una situazione politica complessa e che in parte riguardava anche lui, rifiuta totalmente la possibilità di lasciare la guida della Cgil.
“Neanche lontanamente, questa non è la conclusione, è l’inizio di una strategia“, ha spiegato durissimo, aggiungendo che comportamenti di questo tipo sono attinenti specificamente alla politica e non agli ambienti sindacali. Il segretario della Cgil prende le distanze e allontana da sé quelle indiscrezioni che lo avrebbero voluto come il federatore del centrosinistra, quel perno in grado di unire istanze diverse e compiere quel miracolo necessario a rendere le opposizioni una vera e propria alternativa al governo.
Un sogno che si è infranto insieme alla consapevolezza che un misero 30% non basta a salvare un’intera classe politica. E proprio su questo numero si basa il dibattito su cui ora si è spostata l’attenzione della politica italiana. Mantenere o no il quorum? Il 30,6% di questo referendum non è il risultato peggiore registrato in Italia – questo primato spetta ai cinque quesiti sulla Giustizia che hanno ottenuto il 20,92% -, ma conferma un trend negativo che ormai interessa l’Italia da circa 30 anni.
Tra i primi a presupporre la possibilità dell’abolizione del quorum sui referendum abrogativi c’è Riccardo Magi, che a seguito della sconfitta ha dichiarato di voler chiedere alle forze politiche di sostenere una legge di riforma costituzionale per la riforma dell’istituto referendario.
Un’appello che non è rimasto inascoltato e che ieri ha visto nascere ben due petizioni: la prima, presentata a prima firma da Mario Staderini, già segretario di Radicali italiani, che si propone di abolire il quorum di partecipazione nei referendum abrogativi, previsto dall’articolo 75 della Costituzione; la seconda nasce proprio ieri, su proposta di Più Democrazia Trentino e Iniziativa per Più Democrazia di Bolzano, che si sono unite ufficialmente alla raccolta firma per una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare.
Ma l’abolizione della soglia di voti minimi è realmente la soluzione che l’Italia necessita? L’astensionismo nel nostro Paese è un problema che nasce dalla disaffezione dei cittadini alla vita politica. Un allontanamento che sembra svilupparsi a causa degli innumerevoli problemi che nella Nazione continuano a persistere, nonostante i tentativi dei vari governi di porvi rimedio. Dalla sanità, che non è più in grado di sopperire alle richieste della popolazione, passando per i salari che non rispecchiano più il costo della vita, fino ad arrivare alle pensioni, sempre più basse e meno remunerative del passato.
Perché un cittadino dovrebbe sentirsi coinvolto nella vita pubblica? “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico“, recita la Costituzione italiana all’Art.48 comma 2, in cui viene esplicitato come l’esercizio del voto non sia affatto un obbligo giuridico, ma solo una scelta che dovrebbe nascere dalla propria moralità. E se dal 1946, quando l’Italia fu chiamata al suo primo referendum, quello per scegliere tra Monarchia e Repubblica, il dovere morale del popolo italiano sembrava aver tenuto duro, a partire dal 1979 l’affluenza alle consultazioni parlamentari ha iniziato un progressivo e continuo calo, come riporta Openpolis.
Da quell’anno fino a oggi, in Italia ha preso sempre più potere il “partito del non voto“, ovvero la somma di chi ha deciso di astenersi dal voto o ha votato scheda bianca. Dal 2013 sono proprio gli astenuti la percentuale maggiore di cittadini italiani. Un dato allarmante, che trova appelli in prossimità delle elezioni che sembrano cadere sempre nel vuoto. Un po’ come se la classe politica attuale si ricordasse del cittadino solamente quando questo ha la possibilità di esprimersi.
Il 63,78% registrato alle Politiche del 2022, il 49,69% delle Europee del 2024 e il 30,6% del referendum 2025 sono figli di questo contesto. Votazioni nazionali che però non sono riuscite ad attirare l’attenzione e l’interesse dei cittadini. Nei primi due casi, però, il quorum non era obbligatorio, per cui il tema dell’astensionismo è quasi passato in sordina. Nel caso del referendum, invece, la mancata affluenza diventa un vero e proprio handicap.
Ma è proprio sull’astensionismo che si gioca la partita del referendum abrogativo. Senza una soglia minima di consensi, una votazione simile non avrebbe senso di esistere. Senza il quorum ogni referendum abrogativo avrebbe la meglio, almeno potenzialmente. La soglia nasce proprio per proteggere la democrazia da eventuali decisioni prese da poche persone, in quanto solo tramite una partecipazione ampia si può cancellare una legge.
La richiesta di abolizione del quorum, oggi, nasce dal tentativo di sopperire all’astensionismo crescente. Un cerotto su una ferita che rischia di dissanguare l’Italia. Una risposta che serve ad eliminare superficialmente un problema che ha invece radici profonde e a rendere più semplice il lavoro della politica, senza spingerla a comprendere in che modo risolvere.
Senza quorum i cinque referendum avrebbero garantito la vittoria del centrosinistra. I “sì” sono stati l’88,8% sui quesiti per il lavoro e il 62,26% per quello sulla cittadinanza. Una vittoria vera e propria per le opposizioni e la Cgil, che non avrebbe però portato alla riflessione sui motivi della mancata partecipazione al voto. Sul perché i cittadini su un referendum riguardante i diritti dei lavoratori abbiano deciso di non esprimersi.
Anno dopo anno si rischia di avere forze di governo sempre più distaccate dal contesto attuale, sempre più lontane dai bisogni dei cittadini e dalle loro istanze. Il quorum, quindi, diventa l’ultima speranza per gli italiani di dimostrare i loro reali sentimenti, guidando partiti e coalizioni verso temi e proposte realmente vicine ai bisogni del Paese.
L’assenza del popolo alle urne, al netto degli appelli per l’astensionismo, è il sintomo di una mancata comprensione dell’importanza del referendum. Uno degli strumenti più potenti che la Repubblica offre ai cittadini, chiamati a esprimere un voto su una norma e non un voto per un nome o una forza politica.
Eliminare il sintomo di una malattia non equivale alla guarigione. Oggi l’Italia ha bisogno di uno scossone importante, che le permetta di liberarsi dal morbo dell’astensionismo, dal vuoto di responsabilità che affligge la popolazione italiana. Quesiti più chiari, campagne più incisive e una maggiore attenzione mediatica sono i tre elementi che oggi servono alla Nazione per tornare ad esercitare un dovere morale, che rischia di divenire un diritto non più esercitato.
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