Referendum, urne chiuse: affluenza ferma intorno al 30%

Come promesso, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è recata alle urne senza però ritirare le cinque schede del referendum. "Abbiamo nostri rappresentanti nei seggi e prendiamo nota di tutto", ha chiarito la segretaria del Pd in riferimento a quanto starebbe accadendo in alcune zone d'Italia, dove il personale addetto chiede se si vogliono o meno ritirare le schede per votare i 5 referendum

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Le urne del referendum su lavoro e cittadinanza si sono chiuse ed è iniziato lo spoglio dei voti per comprendere il quorum sia stato raggiunto oppure no. Al momento le possibilità che i voti sui cinque quesiti possano essere considerate valide sono minime, visto che i dati parziali segnano l’affluenza al 23,29%.

I seggi sono stati aperti ieri dalle 7 alle 23 e oggi dalle 7 alle 15. Ogni elettore ha ricevuto cinque schede, di cui quattro a tema lavoro proposti dalla Cgil e per cui si sono battuti anche il leader di Pd, M5S e Avs. E un quinto quesito invece sul tema della cittadinanza, per ridurre da 10 a 5 gli anni necessari a ottenerla.

Alle 23 di ieri, ovvero alla chiusura delle urne, l’affluenza registrata era ferma al 22,73%. Una percentuale piuttosto bassa e ben lontana dall’obiettivo del quorum che il centrosinistra continua a ritenere raggiungibile. Nel 2011, allo stesso orario, si erano recati a votare il 41,1% degli aventi diritto e il quorum venne superato di ben cinque punti. Oggi la situazione sembra più complessa e al momento non resta che sperare nel successo delle votazioni odierne.

Sulla bassa affluenza si sono espressi sia il governatore campano, Vincenzo De Luca, sia il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari. Il primo ha sostenuto che tale votazione sia stata troppo politicizzata e al contempo non adatta al tipo di argomento di cui si trattava. “Per affrontare i problemi bisogna arrivare alla sede parlamentare, per affrontarli in maniera responsabile, equilibrata e arrivando sempre nelle sedi parlamentari“, ha spiegato il presidente della Regione Campania.

Giovanbattista Fazzolari ha invece sostenuto che le opposizioni avrebbero voluto trasformare i 5 referendum come un banco di prova per il governo, ritrovandosi però ad ottenere il risultato contrario a quello sperato. “Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita“, ha spiegato il sottosegretario, affondando contro le opposizioni.

I dati tragici dell’affluenza alle urne

Alle 19 del primo giorno di votazioni, in media si sono presentati alle urne il 16,6% degli aventi diritto, come confermato dai dati forniti dal Viminale relativi a oltre 52 mila seggi su 61.591 aperti in tutta Italia dalle 7. La Regione italiana in cui si è votato di più è stata la Toscana, dove l’affluenza è arrivata al 22%, mentre quella con minori presenze è stata la Calabria, ferma al 10% degli aventi diritto.

Come promesso, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è recata alle urne senza però ritirare le cinque schede del referendum. Nelle foto diffuse da Palazzo Chigi, la presidente del Consiglio Meloni, con in mano la sua scheda elettorale, stringe la mano al presidente di seggio ma non ritira né imbuca le schede.

Per quanto riguarda le percentuali specifiche per ogni quesito, è stato registrato il 15,7% di voti per il sul reintegro nel posto di lavoro per i licenziati senza giusta causa, il 15,6% per la responsabilità sugli infortuni sul lavoro e il 15,6% per gli altri tre quesiti.

Alle 12, quindi 5 ore dopo l’inizio delle votazioni, aveva votato in media per i vari quesiti il 7,3% degli aventi diritto. Alla stessa ora al referendum del 2011 erano state registrate l’11% di presenze. Lo riporta il sito Eligendo, portale del ministero dell’Interno. Il dato riguarda poco meno di 60mila seggi sui 61.591 complessivi. L’affluenza più alta si è registrata per il primo quesito che riguarda il reintegro dei licenziamenti illegittimi.

Referendum, Schlein: “Vigiliamo su ciò che accade nei seggi”

La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha annunciato di essere informata su tutto ciò che in tutta Italia sta accadendo ai seggi elettorali. “Abbiamo nostri rappresentanti nei seggi e prendiamo nota di tutto“, ha chiarito in riferimento a quanto starebbe accadendo in alcune zone d’Italia, dove il personale addetto chiede se si vogliono o meno ritirare le schede per votare i 5 referendum. Secondo alcuni, questa domanda rappresenterebbe un abuso e proprio in tale ottica il Comitato referendario, per voce del referente Natale Di Cola, segretario della Cgil di Roma e Lazio, ha scritto al Prefetto Lamberto Gianni e al sindaco Roberto Gualtieri, denunciando “anomalie ai seggi di Roma e provincia“.

Ricordiamo che secondo quanto previsto dal manuale delle procedure elettorali (pag.73) è facoltà dell’elettore rifiutare alcune schede (o tutte), ma sulla base di una propria valutazione e facoltà“, hanno spiegato, aggiungendo che in alcuni presidenti starebbero anche negando il diritto di votare ai rappresentanti di lista non residenti nei Comuni dove esercitano la loro funzione, appellandosi alla circolare prefettizia numero 35/2025, che però fa riferimento ai seggi speciali e non a quelli ordinari.

Referendum, le prime foto dai seggi

Dalla tarda mattinata di oggi hanno iniziato a circolare, come è consuetudine, le foto dei primi leader politici che si sono recati al voto. Riccardo Magi, segretario di +Europa ha pubblicato la foto del momento in cui inserisce le schede elettorali nell’apposito contenitore, accompagnata dal messaggio: “Oggi i cittadini autenticamente patriottici vanno a votare perché’ la democrazia si difende facendola vivere e  praticandola“.

Referendum, Elly Schlein e Riccardo Magi alle urne
Elly Schlein e Riccardo Magi alle urne

La segretaria del Pd, Elly Schlein, è invece andata a votare per i referendum all’istituto professionale ‘Edmondo De Amicis’ in via Galvani, nel quartiere Testaccio di Roma. La leader ha deciso di non rilasciare dichiarazioni ai cronisti presenti, ma uscendo si è fermata a parlare con alcuni sostenitori. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, si è recato a votare nella scuola  elementare di San Polo d’Enza, in provincia di Reggio Emilia. Anche Maurizio Lupi, leader dei Noi Moderati, ha votato a Milano, spiegando poi che l’affluenza odierna, ben più bassa della media, dimostrerebbe come i cinque quesiti siano “incomprensibili” e non attrattivi.

I numeri del referendum dell’8 e del 9 giugno

Sono chiamati alle urne oltre 51,3 milioni di italiani, di cui 5.302.299 residenti all’estero. Ed è proprio sulla partecipazione che si gioca la contesa politica, con il centrosinistra che è per il sì in varie sfumature, il centrodestra che punta al non raggiungimento del quorum, ovvero la soglia minima di partecipazione richiesta affinché una votazione possa essere ritenuta legittima. I referendum abrogativi quindi, soggetti a quorum, per essere validi secondo la Costituzione italiana devono registrare la partecipazione del 50% +1 degli aventi diritto.

Nello specifico, è necessario che vadano alle urne oltre 25,6 milioni di votanti. Per la prima volta, sarà ammesso il voto per i fuorisede che ne hanno fatto richiesta entro il 5 maggio, mentre gli italiani che vivono all’estero e sono iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) hanno già votato se ne hanno fatto richiesta nei tempi di legge, ovvero entro il 7 maggio.

Chi deciderà di recarsi alle urne ma non vuole votare su uno o più quesiti referendari ha anche la possibilità di non ritirare le schede interessate. Ai fini delle operazioni di scrutinio verrà considerato come non votante sui quesiti rifiutati e votante su quelli accettati. Se invece l’elettore ritira le schede ma le restituisce subito, senza entrare in cabina, verrà conteggiato come votante ma le schede verranno annullate.

Referendum, i 5 quesiti: quali sono e come funziona

Verde è la prima scheda, sul quesito che chiede l’abrogazione del Jobs Act del governo di Matteo Renzi. Questo primo quesito dei quattro sul nodo lavoro intende intervenire sulla disciplina di licenziamenti del contratto a tutele crescenti introdotto nel 2015, chiedendone la cancellazione. Si tratta della nuova tipologia di contratto che fissa diverse soglie di indennizzo economico, con l’aumentare dell’anzianità di servizio passando da un minimo di 6 mesi fino ad un massimo di 36 mesi. L’attuale norma al contrario avrebbe tolto il reintegro per la genericità dei casi anche per alcuni licenziamenti illegittimi.

In sostanza, votando sì si chiede di prevedere il reintegro anche nel caso il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto lavorativo. Mentre, i contrari ritengono che cancellando le norme introdotte con il Jobs Act si retroceda portando ad un irrigidimento del mercato del lavoro.

La seconda, arancione, è sull’addio al limite all’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese, che occupando quindi meno di 16 dipendenti. Chiede quindi la cancellazione del tetto all’indennità dei licenziamenti. In caso di vittoria dei sì sarebbe il giudice a stabilire l’indennizzo con la possibilità che possa essere più alto alto rispetto alle 6 mensilità di risarcimento attualmente in vigore in caso di licenziamento illegittimo.

Quindi, la terza, scheda grigia con la proposta di reintrodurre l’obbligo di causale per i contratti di lavoro inferiori a dodici mesi. Di fatto incide anche questo sulle norme del Jobs Act, ma anche sugli intervenuti legislativi successivi. L’ultima modifica è giunta nel 2023 con il decreto Lavoro del governo Meloni, che ha escluso per i rinnovi e per proroghe l’esigenza delle causali per i contratti fino a 12 mesi e introdotto delle nuove per i contratti con durata compresa tra i 12 e 24 mesi.

Il quesito quindi mira a limitare il ricorso ai contratti a termine rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato, ma potrebbe di conseguenza limitare anche le opportunità di lavoro considerando come rappresenti la forma di stabilità economica per eccellenza.

Al centro del quarto quesito, scheda rossa, l’ampliamento della responsabilità di un’impresa che commissiona un appalto, includendo rischi specifici relativi agli incidenti sul lavoro. Interviene quindi in materia di salute e sicurezza e riguarda il cosiddetto Testo unico del 2008. Con il quesito si chiederebbe di modificare le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. La Cgil sostiene che abrogando le norme in essere ed estendendo le responsabilità dell’imprenditore committente significherebbe garantire maggiore sicurezza sul lavoro. L’altra faccia della medaglia, coloro che sono a sfavore del quesito potrebbe invece scoraggiare la partecipazione agli appalti.

E poi la cittadinanza, scheda gialla, in cui si propone di “dimezzare da 10 a 5 anni i tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne“. Si tratta della legge del 1992 che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. La riduzione a 5 anni del requisito di residenza potrebbe indirettamente semplificare anche il percorso per molti minori stranieri. Quindi, votando sì, si ritiene che l’attuale legge sia sproporzionata e discriminatoria. Chi, invece, sostiene le ragioni dello sfavore al referendum ritiene che la legge attuale sa già adeguata e che l’Italia rilasci un numero troppo alto di cittadinanze rispetto ad altri Paesi.

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