La nuova manovra finanziaria sta alimentando un clima di tensione nel paese. Mentre i pensionati scendono in piazza e i medici sono pronti allo sciopero, cresce l’apprensione tra le categorie coinvolte. La Rai è in allarme, gli editori alzano la voce e il mondo della giustizia manifesta preoccupazione. Questo scenario di insoddisfazione diventa un terreno fertile per le opposizioni, che cavalcano il malcontento per attaccare il governo. Il silenzio della maggioranza e dei leader dei principali partiti, tuttavia, lascia intendere una certa frustrazione, forse per il mancato soddisfacimento di alcune istanze.
Uno dei punti critici della manovra è il taglio del canone Rai, fortemente voluto dalla Lega. Nonostante il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, avesse confermato la riduzione da 90 a 70 euro per il 2025, il testo della legge di bilancio non riporta alcuna traccia di questa misura. Un “giallo” che il Carroccio evita di commentare, ma che probabilmente sarà affrontato durante la conversione parlamentare, anche in seguito alla reazione del cda Rai, che ha espresso forte disappunto per le limitazioni previste nelle spese aziendali e i tagli programmati a partire dal 2026.
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Un altro nodo riguarda le pensioni minime, storicamente sostenute da Forza Italia. Sebbene il portavoce Raffaele Nevi abbia dichiarato soddisfazione per la manovra, l’aumento degli assegni è minimo: solo 3 euro, da 614,77 a 617,9 euro. Una cifra che difficilmente sarà considerata sufficiente dagli azzurri, che puntavano a un incremento maggiore, oltre i 630 euro. Anche questo potrebbe diventare oggetto di emendamenti in Parlamento.
La Lega, dal canto suo, non intende mollare sul fronte previdenziale. Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, ha espresso la volontà di intervenire per offrire “una prospettiva diversa ai giovani”, lamentando l’esclusione di molte proposte dal testo finale della manovra. Gli autonomi, invece, guardano con interesse all’esito del concordato biennale, che potrebbe liberare risorse per un ulteriore taglio dell’Irpef per i ceti medi. Forza Italia preme per ridurre di due punti l’aliquota del 35% e ampliare lo scaglione fino a 60mila euro, ma la Lega non esclude un intervento sulla flat tax se i fondi lo permetteranno.
Le pressioni per modificare la manovra arrivano anche da altri settori. Gli editori della Fieg, preoccupati per l’estensione della web tax, chiedono un intervento correttivo del Parlamento, mentre il mondo della giustizia è allarmato dalla norma che prevede la decadenza dei processi per mancato o parziale pagamento del contributo unificato. Su quest’ultimo punto, l’Organismo Congressuale Forense si dice pronto a mobilitarsi per evitare che venga approvata.
I costruttori dell’Ance temono che l’assenza della proroga sulle norme per il caro materiali possa fermare molti cantieri, compresi quelli legati al Pnrr, una preoccupazione condivisa da Forza Italia, pronta a proporre un emendamento. Anche il capitolo Transizione 5.0 potrebbe subire modifiche, con il Mimit che si sta confrontando con Confindustria per eventuali aggiustamenti.
In questo contesto, il percorso della manovra appare già segnato da possibili ritardi. Le audizioni, inizialmente previste per la prossima settimana, slitteranno al 4 novembre e il termine per la presentazione degli emendamenti potrebbe essere fissato intorno all’11 novembre. L’obiettivo del governo è portare il testo in Aula entro metà dicembre, ma già si prevede che sarà difficile farcela prima del 20, con la conseguenza di una seconda lettura in Parlamento ridotta a mera formalità e un Natale che, ancora una volta, rischia di essere segnato dalla corsa contro il tempo.
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