Migranti l’Italia è sempre in emergenza: i dati sul fallimento della linea dura

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Alle tragedie in mare l’Italia risponde con il pugno di ferro. Ma Eurostat sbugiarda il piano del governo: nel 2021 meno di un quarto dei rimpatri sono andati a buon fine. Nel 2022 solo 32mila persone sulle 110mila previste sono state allontanate

Entra in Aula nuovamente il decreto Cutro ed è previsto il peggio. La commissione Affari costituzionali, infatti, non ha potuto concludere l’esame e il voto di tutti gli emendamenti presentati, a causa della tenace azione ostruzionistica delle opposizioni, che, attraverso i ripetuti interventi, hanno rallentato i lavori. A Palazzo Madama, dunque, si ricomincerà di nuovo, con un voto emendamento per emendamento.

Il trionfo dell’ideologia sul pragmatismo

Il tema della migrazione colonizza da sempre il dibattito pubblico. E laddove muore il pragmatismo e l’etica, prospera l’ideologia. La recente tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi ha richiamato la responsabilità del governo italiano e dell’Europa. I toni adoperati fino ad ora in Italia sono quelli duri del contrasto e del controllo, per fermare all’origine gli ingressi e rafforzare i confini nazionali. Anche a Bruxelles soffia allo stesso modo il vento del sovranismo, seppur diluito nel registro tecnocratico e mellifluo di Ursula von der Leyen.

Lo scarso successo delle misure di espulsione

C’è però un dato di fatto che da anni grava sulle politiche europee dell’immigrazione: lo scarso successo delle misure di espulsione. I governi dell’Ue nel 2021 avevano emesso 342.000 decisioni di rimpatrio di cittadini di paesi terzi, spesso richiedenti asilo che avevano ricevuto una risposta negativa alla loro istanza. Di questi, secondo Eurostat, soltanto 80.000, quindi meno di un quarto, erano effettivamente rientrati nei paesi di origine. Non è andata meglio nel 2022: nel terzo trimestre i rimpatri hanno coinvolto 32.000 persone, su quasi 110.000 ordini di allontanamento.

L’Italia è sempre in emergenza

Nel nostro Paese, il meccanismo del controllo ha trovato la sua apoteosi nella volontà di sguinzagliare un commissario speciale – la scelta è poi ricaduta su Valerio Valenti, già capo del dipartimento Libertà civili e Immigrazione – nella sempre cara attitudine italica di rispondere con logiche commissariali a situazioni di emergenza. Con la differenza, però, che la migrazione non è mai stata emergenza, bensì fenomeno sistematico e incastrato nel movimento naturale della società. 

L’utopia dell’inclusione

In quest’ottica, la ricerca condotta all’interno del progetto Shape (Sharing actions for participation and empowerment of migrant communities and LAs), finanziato nell’ambito del Fondo europeo Amif (Transnational actions on asylum, migration and integration) offre una differente visione del fenomeno migratorio, con innovativi modelli di approccio.

Il dibattito pubblico e soprattutto politico è privo, infatti, dell’attitudine alla tolleranza e alla messa in discussione del connaturato razzismo che conduce a fare scelte di parte e poco efficaci. L’altra faccia della medaglia riguarda l’inclusione e le politiche che promuovono la partecipazione dei migranti e di tutte le persone con background migratorio alla cosa pubblica, focalizzando i vantaggi e i benefici per tutto il tessuto sociale, dall’ambito economico, a quello occupazionale, a quello culturale.

Italia: popolo di emigranti e razzisti

Nello specifico, la ricerca coinvolge cinque paesi europei con similarità e differenze dal punto di vista storico in merito alla familiarità con i flussi migratori. Accanto all’Italia, nazione di emigranti ma anche approdo di cittadini stranieri per la sua posizione privilegiata in mezzo al Mediterraneo, la Croazia, la Germania, l’Ungheria e il Portogallo.

Nelle premesse della ricerca ci si focalizza sulla cangiante “sensibilità interculturale” che costituisce il punto di partenza per rispondere al fenomeno migratorio sul duplice binario del cambiamento della percezione culturale dell’immigrato e con lucidi piani di soccorso, accoglienza e distribuzione. In Italia, la diversità culturale registra ancora un’accezione negativa. L’assenza di riconoscimento pubblico e la mancanza di tutele e di un piano di accesso ai servizi provoca discriminazione multidimensionale sui fronti linguistico, lavorativo e abitativo. Tale situazione inasprisce la xenofobia già strisciante nelle crepe della società e, nell’esaltare la supremazia culturale occidentale, normalizza l’inferiorità dell’immigrato.

Gestire la diversità

Non siamo preparati a gestire la diversità nel suo volto caleidoscopico. Più che una sistematica e strutturata strategia di inclusione si sta disegnando una traiettoria che nell’escludere e nel respingere, rimanda il problema – o le delega ai paesi di origine – non risolvendolo. Le persone scompaiono, la loro appartenenza al genere umano diventa evanescente, l’obbligo di soccorrerle è ridefinito come secondario. Nella lentezza dei processi istituzionali e nell’ostilità dei discorsi la tutela dei diritti umani si relega, intanto, a un angolo sempre più stretto.

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