Meloni gira intorno al ginepraio della giustizia

La presidente del Consiglio difende Delmastro “fino a sentenza passata in giudicato” ma vuole evitare ogni scontro politica-magistratura. A farne le spese è la riforma della giustizia. Muovere il sottosegretario aprirebbe a un rimpasto dalle conseguenze politiche imprevedibili

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In contrasto con la linea che si è data dall’inizio del suo mandato, la presidente Meloni ha affrontato questioni di politica interna a margine del Cop28 in corso a Dubai. Stuzzicata dai giornalisti, non ha esitato a rispondere a domande sulla giustizia, con una precisazione pesante come un macigno per quanto riguarda il rinvio a giudizio del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro.

“Direi che è il caso di aspettare una eventuale condanna passata in giudicato per definirlo colpevole”, ha puntualizzato con pignoleria giuridica. Non ha torto, ovviamente. La procedura è esattamente quella da lei descritta. La prassi, quella politica, è stata un po’ diversa da qualche anno a questa parte. Nel senso, come tutti sappiamo, che un semplice avviso di garanzia si trasformava nelle dimissioni immediate del destinatario, parlamentare o ministro che fosse. È stato così per la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi, nel 2016, e l’anno prima per il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi: avvisati e dimissionari.

Meloni
Meloni

Si dirà che era un’altra stagione, diverso era anche il clima politico con l’arrembante giustizialismo dei Cinque stelle che non lasciava passare nulla. La politica oggi è, o appare, meno debole e la maggioranza di governo coesa a dispetto delle tensioni che la solcano e affiorano di tanto in tanto. Le opposizioni, a cominciare dal Pd e dal M5S, sono troppo impegnate in una rovinosa competizione al loro interno e le loro critiche arrivano, quando arrivano, sfocate all’opinione pubblica.

È anche un contesto simile che agevola in qualche modo la reazione della presidente del Consiglio rispetto alla vicenda Delmastro e, domani chissà, rispetto a una vicenda Santanchè. Non facendole difetto l’intelligenza politica e la rapidità di visione, Meloni ha adottato dal primo istante una difesa per così dire flessibile, nel senso di coprire il suo sottosegretario senza per questo alimentare lo scontro con la magistratura. Compito, questo, che ha lasciato a un ministro come Guido Crosetto, da sempre guardato come un esempio di prudenza.

Nella sua intervista al Corriere della Sera di qualche giorno fa, Crosetto è stato insolitamente duro nell’indicare nella magistratura (anzi, come usa in questi casi, “in suoi limitati settori”) l’unica, vera opposizione al governo. Chi si aspettava una presa di distanze di Meloni, ha potuto soltanto ascoltare il suo silenzio come forma di assenso alle parole del ministro. Meloni è consapevole che la riforma della giustizia è un dossier troppo urticante da affrontare, e non basta certo la diplomazia del dialogo per renderlo meno indigesto ai magistrati. Lo sa anche, sia pure a malincuore, il ministro della Giustizia. Carlo Nordio ha accettato, non si sa se con rassegnazione o con qualche robusto malumore, di vedere la sua riforma arretrare nell’agenda delle priorità del governo.

Guido Crosetto, ministro della difesa
Guido Crosetto, ministro della difesa

Il fatto è che la posizione attendista nella quale sembra essersi collocata Meloni non può durare a lungo. La vicenda Santanchè incombe, ma anche nel suo caso nulla potrà muoversi fino a una sentenza di condanna passata in giudicato. Far dimettere Delmastro o Santanchè significherebbe aprire il vaso di Pandora di un rimpasto di governo e, in quel caso, sarebbe difficile anche per una politica accorta come Meloni tenere la barra dritta e indirizzarla senza danni per la maggioranza.

Molto meglio sventolare la bandiera del premierato, utile da qui alle elezioni europee per mobilitare l’opinione pubblica attorno a un obiettivo avvertito come risolutivo. Anche se, in questo caso, pesano come un macigno le parole di Gianni Letta sulla necessità di non depotenziare il ruolo e la figura del presidente della Repubblica. Sono precisazioni, piccole punture secondo i più maliziosi, ma tanto basta per rallentare la corsa. In un quadro che rimane stabile, ma mostra qualche increspatura, saggiamente Meloni pensa a girare attorno al ginepraio della riforma della giustizia senza mettervi un piede dentro.

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