Era il 29 luglio del 1983 quando a Palermo furono uccisi dalla mafia, il giudice Rocco Chinnici, i carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, insieme a Stefano Li Sacchi, portiere del palazzo di via Pipitone Federico all’esterno del quale fu collocata un’autobomba carica di esplosivo. In occasione dell’anniversario della morte del magistrato, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi omaggia il sacrificio delle vittime di mafia.
“Il magistrato pagò con la vita lo straordinario lavoro con il quale, grazie a eccezionali capacità investigative e all’impiego di innovativi metodi di indagine, aveva saputo imprimere una svolta decisiva nella lotta alla criminalità organizzata. Onorare la sua memoria e quella di tutte le vittime di mafia significa rendere un doveroso tributo al coraggio di chi non ha avuto esitazioni nel sacrificare quanto di più prezioso per combattere ogni forma di violenza e prevaricazione. Ricordare la figura di Rocco Chinnici vuol dire soprattutto raccoglierne il prezioso testimone per consegnare alle nuove generazioni l’esempio di un Servitore dello Stato che non ha mai chinato il capo nella quotidiana battaglia per l’affermazione dei valori di legalità e giustizia” ha dichiarato Piantedosi.
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Piantedosi: chi era Chinnici
Il 29 luglio 1983 alle 8.05 del mattino una Fiat 126 verde imbottita con 75 chili di tritolo esplose in via Pipitone Federico a Palermo: il giudice Rocco Chinnici, il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui abitava il giudice, non ebbero scampo e morirono sul colpo. Chinnici è stato un grande precursore della moderna lotta alla mafia, credendo nell’importanza della cultura e del lavoro. Già magistrato, verso la fine del 1979 è stato nominato capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e creò il Pool antimafia, chiamando a sé colleghi come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Diede inoltre un prezioso contributo tecnico alla stesura della legge Rognoni-La Torre e, in particolare, alla definizione del reato di associazione «di tipo mafioso» (art. 416 bis del Codice Penale) e al potenziamento della prevenzione patrimoniale.
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