L’Ue rafforza i confini e apre a Roma sui migranti. Vengono riconosciute specificità frontiere marittime e la questione delle Ong
Parole, soltanto parole. È facile liquidare come esercizio di stile il compromesso raggiunto a tarda notte dai 27 sullo spinoso capitolo della migrazione, il più dibattuto dai leader nel corso del Consiglio Europeo. Che era straordinario. Pare una precisazione da esegeti dell’Ue ma i dettagli, purtroppo o per fortuna, qui contano. In sintesi: decisioni pratiche in questo caso non erano state previste. Se poi proprio non arriveranno mai, a causa dei veti incrociati, è un altro paio di maniche.
Intanto però la direzione politica è chiara: uno scivolamento verso posizioni più severe, rispetto al passato. Con l’Italia che può rivendicare un paio di successi. Le conclusioni del Consiglio sono abbastanza diverse rispetto alla bozza di partenza e si aprono con un cappello introduttivo che inquadra le migrazioni come “una sfida europea” bisognosa di una “risposta europea”. Per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si tratta di “un cambio di passo importante”.
Le novità del documento
Ora, non è che un linguaggio del genere non sia mai stato usato in passato. Dal M5s, ad esempio, ricordano come nel giugno 2018 dopo “13 ore di negoziato” si arrivò a delle conclusioni che inquadravano la migrazione come sfida comunitaria, dedicandole ben 12 paragrafi. Tuttavia, il documento approvato giovedì notte dai 27 include certe bandiere importanti per l’Italia. Come la “specificità” delle “frontiere marittime” e un “coinvolgimento effettivo dell’Ue alle frontiere esterne”, compresa “la questione operativa degli enti privati”. Di fatto un riferimento alle ong. “Questo tema è nelle conclusioni ed è abbastanza una novità, così come se ne discuta nell’ottica di regolamentare il funzionamento di queste attività”, ha sottolineato Meloni.
La richiesta della Svezia sulle frontiere esterne
Alla fine, però, il Consiglio Europeo, che sia straordinario o meno, è sempre la fiera del compromesso. Altri hanno ottenuto altro. Ad esempio la volontà della presidenza (dunque la Svezia) di discutere di movimenti secondari e la richiesta di usare fondi europei per il rafforzamento delle frontiere esterne, con misure che non si chiamano (ancora) muri ma che ci vanno il più vicino possibile. Poi certo, la vera svolta verrebbe dall’accordo sul nuovo Patto per la migrazione ma i leader non erano ancora chiamati a parlare di questo.
La linea “vigorosa” di Giorgia Meloni
Fonti europee assicurano che l’impostazione scelta da Meloni – “vigorosa” – sia stata “rispettata” e giudicata “costruttiva”, benché “non condivisa” su alcuni passaggi. La presidente del Consiglio esprime soddisfazione perché un conto è parlare vagamente di non lasciare l’Italia sola e un’altra “stabilire una cornice” da riempire però “con misure concrete”. “Noi vogliamo che l’Ue s’impegni di più in Africa e visto che in passato abbiamo impiegato sei miliardi per un piano per la Turchia ora vorrei che si facesse qualcosa di analogo con il nord Africa”, nota Meloni. L’approccio insomma deve essere a 360 gradi perché la redistribuzione dei migranti “è uno specchietto per le allodole”. Dopo di che gli accordi finora “non solo sono stati volontari ma non hanno funzionato”. Una fonte di altissimo livello assicura che la “diffidenza” e la “sfiducia” mostrata sino ad oggi dai campi opposti sull’immigrazione è “finalmente caduta” e che questo aiuta a trovare “soluzioni”. Se poi si troveranno davvero, dopo 10 anni di scontri infruttiferi, resta tutto da vedere.