Secondo la Costituzione il primo incontro dei nuovi rappresentanti parlamentari deve avvenire entro venti giorni dal voto (13 ottobre). Bollette e contesto internazionale spingono a fare presto
Entro venti giorni dal voto la prima riunione dei nuovi parlamentari, poi fare il prima possibile per affrontare al più presto la questione energetica, il problema dell’aumento dei prezzi e la crisi internazionale. C’è poco tempo per il nuovo governo, ma questo si sapeva da tempo: nei giorni scorsi lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha più volte espresso l’indicazione di accelerare sul timing, proprio per cercare di rendere operativo l’esecutivo il prima possibile.
I risultati e le priorità
Ora che i risultati delle elezioni sono chiari, con la coalizione di centrodestra sopra il 44% e Fratelli d’Italia come primo partito con il 26%, ecco che lo stesso Mattarella potrebbe affidare ufficialmente l’incarico al nuovo governo e al nuovo premier in tempi abbastanza stretti, comunque non meno di trenta giorni.
I precedenti: le tempistiche
Niente dunque rispetto all’ultima legislatura, quando, con le elezioni tenute il 4 marzo 2018, il governo giallo-verde, il Conte 1, si insediò il primo giugno. Invece nel 2001 il 13 maggio vinse il centrodestra unito che giurò al Quirinale l’11 giugno. Il 13 ottobre, in ogni caso, sarà una data spartiacque perché i senatori e i deputati eletti, dopo aver dato vita ai gruppi parlamentari, dovranno scegliere come primo atto i presidenti di Camera e Senato.
Dopo aver eletto i vertici del Parlamento, prenderanno il via le consultazioni del Capo dello Stato che chiamerà al Quirinale i capigruppo, i leader delle coalizioni, gli ex presidenti delle Camere e i presidenti emeriti della Repubblica per capire gli orientamenti prima di affidare l’incarico. A quel punto scatterà la formazione del governo, con i vari incarichi assegnati. In teoria poi il Capo dello Stato potrebbe anche opporsi alla nomina di un ministro: avvenne nel 1994 con Oscar Luigi Scalfaro che disse no a Cesare Previti alla Giustizia, nel 2014 con Giorgio Napolitano che non volle Nicola Gratteri, proposto da Matteo Renzi, e lo stesso Mattarella che si oppose nel 2018 all’indicazione di Lega e M5S per Paolo Savona all’Economia.