Fine vita: giudici al centro delle decisioni cruciali

È rimandato al giudice stabilire il livello di dipendenza e la condizione necessaria minima per poter stabilire quando porre fine alla propria vita

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Il fine vita ha ancora un effetto divisivo. Dal Parlamento non se ne viene a capo e tutto tace dal 2018. Le istituzioni fanno a gara ad accaparrarsi l’ultima parola, quella decisiva. I contendenti sono l’Avvocatura dello Stato, che rivendica la competenza in materia, e la Corte Costituzionale, che insiste a voler cambiare le decisioni. In una sentenza espressa dalla Corte sono descritte le decisioni finali prese, che rappresentano un enorme passo avanti.

È definito il documento, presto reso noto a tutti, “interpretativo di rigetto”, evidenziando la grandezza dell’argomento. L’esito andrà a definire e riguardare tutte le persone che, per avvenuti incidenti o malattie, sono costrette ad una condizione di dipendenza totale da una macchina che garantisce loro il proseguimento della vita, limitata.

Le quattro condizioni per il suicidio assistito

La Corte Costituzionale si è espressa considerando le quattro condizioni già citate nel 2019, necessarie per poter accedere al suicidio assistito. La terza prevedeva che chi avesse una condizione di totale dipendenza dai macchinari poteva esigere il diritto di fine vita, mentre il quarto elemento definiva che la decisione spettava a chi era capace di intendere e di volere. Nell’ultima istanza vengono ampliati e definiti i “trattamenti di sostegno vitale”. È rimandato al giudice stabilire il livello di dipendenza e la condizione necessaria minima per poter stabilire quando porre fine alla propria vita. Se è necessario essere tetraplegici o dipendere da un macchinario per un qualsiasi movimento.

A firmare la sentenza e a prendere una decisione sono il costituzionalista Franco Modugno e il penalista Francesco Viganò, che appaiono agli atti e hanno firmato la sentenza. Quest’ultimo aveva espresso le sue parole in un podcast edito dalla Consulta del dicembre 2020, inserito nel volume di Giuliano Amato e Donatella Stasio “Storie dei diritti di democrazia”. Il penalista conferma quanto una decisione della Corte possa cambiare la vita.

L’istigazione al suicidio e i suoi risvolti legali

I casi di fine vita si sono susseguiti nel tempo. Ricordando tra le storie quella di Dj Fabo che finì la sua vita in Svizzera assistito da Marco Cappato, segretario dell’Associazione Luca Coscioni. Oltre alla questione del fine vita, c’è da considerare l’articolo 580 del Codice Rocco, che penalizza “l’istigazione al suicidio”. Come il caso di Cappato che, autodenunciandosi, rischierebbe 12 anni di carcere.

Nonostante sia indagato, il ricorso alla Consulta di Firenze potrebbe portare a diversi esiti supportati dall’avvocata dell’associazione, Filomena Gallo. La situazione stava avendo una svolta già nel 2018, quando la Corte aveva deciso di prendere in mano la situazione. Nel frattempo che la burocrazia rallenta le decisioni, le richieste di mettere in atto il proprio diritto aumentano. Ora la palla passa ai giudici: spetterà a loro questo compito per ogni singola situazione.

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