Il “campo largo” del Pd resta una fragile fantasia. Fra due settimane le elezioni amministrative, e Pd e M5S alleati in 6 capoluoghi su 17. Interessante caso pisano
C’è chi torna a sognare il “campo largo”, il nome del progetto del Pd, che prevede di ampliare la coalizione di centro-sinistra, con Cinque Stelle, un pezzo del defunto Terzo Polo e la sinistra radicale, (il progetto, ma anche la denominazione, sono attribuiti a Enrico Letta).
Per ora però non si tratta altro che di una fantasia fragile, al netto della corrispondenza d’amorosi sensi interna ai demo-populisti su lavoro ed economia (citofonare salario minimo).
A breve le elezioni amministrative
Fra due settimane, 14 e 15 maggio, ci saranno le elezioni amministrative, con eventuali ballottaggi il 28 e 29 maggio, e Pd e M5S saranno alleati soltanto in sei capoluoghi su diciassette.
Il partito della segretaria del Pd Elly Schlein e il partito del pentastellato Giuseppe Conte saranno insieme a Brindisi, Latina, Pisa, Teramo, Catania e Siracusa.
Il caso pisano
Molto interessante è il caso pisano, dove nel 2018 il Pd perse le elezioni contro la Lega.
E dire che cinque anni prima i leghisti nemmeno esistevano a Pisa. Alle elezioni del 2013 avevano ottenuto 125 preferenze in tutta la città, lo 0,35 per cento. Dopo un lustro i voti sono diventati, nel 2018, 9.767, il 25 per cento. E ora? Ora c’è l’alleanza Pd-Cinque stelle, che prima non c’era, e che candida Paolo Martinelli, già presidente delle Acli provinciali a Pisa. Ma il destra-centro è pronto a resistere più facilmente che altrove; semmai c’è da capire come saranno distribuiti i voti tra Fratelli d’Italia – i nuovi padroni della ditta – e Lega, che tutt’ora esprime il candidato sindaco, quel Michele Conti che è riuscito a strappare la città al centrosinistra dopo decenni di governo ininterrotto. Il caso pisano è da studiare anche per le dinamiche interne alla maggioranza meloniana.
La Toscana è stata negli ultimi dieci anni terreno di conquista della coalizione Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia e il 2018 un anno particolarmente ricco di soddisfazioni. Ma erano altri tempi, tempi salviniani appunto. Il centrodestra riuscì a vincere anche a Massa e a Siena. Altro caso interessante, quest’ultimo, per molte ragioni (Siena è la città di Mps, dove il rapporto fra sinistra e finanza ha assunto per decenni connotati patologici). Le candidature sono molte e le coalizioni frastagliate. Il Terzo polo, per dire, si è spaccato prima che a Roma (Azione candida Roberto Bozzi, già sindaco di Castelnuovo Berardenga, assai critico sull’amministrazione uscente; i renziani di Italia Viva, capeggiati da Stefano Scaramelli, appoggiano insieme al sindaco uscente della giunta di centrodestra, Luigi De Mossi, lo stesso candidato: il manager Massimo Castagnini). Il centrodetsra avrebbe avuto gioco facile convergendo su Emanuele Montomoli, candidato di una lista civica che dopo essere stato inizialmente appoggiato dalla coalizione di Meloni è stato scaricato perché affiliato alla massoneria. Il Pd schleiniano punta su Anna Ferretti (senza i Cinque Stelle), che ha vinto le primarie e potrebbe andare al ballottaggio.
L’accordo demopopulista in Molise
C’è invece l’accordo demopopulista in Molise, dove si voterà alle elezioni regionali il 25 e il 26 giugno. Il candidato è il sindaco di Campobasso dal 2019, Roberto Gravina, espressione dei Cinque Stelle. I rapporti fra Pd e Cinque stelle restano molto complessi, come testimoniano alcune sortite dell’ex presidente del Consiglio Conte. “In passato il M5s si è scottato col Pd, un partito abituato a gestire il potere. È naturale che oggi ci sia maggiore cautela, più prudenza”, ha detto l’ex premier Giuseppe Conte. A guadagnarci qualcosa da queste tensioni a sinistra potrebbero essere i lib-dem (che però si sono frantumati a pochi mesi dalle elezioni europee). Anche perché il Pd ha problemi non soltanto con Conte, ma anche con sé stesso. Sta perdendo pezzi tra riformisti e cattolici. Dopo l’addio del senatore Enrico Borghi, passato a Italia Viva, si è congedata anche Caterina Chinnici, europarlamentare siciliana, che ha traslocato in Forza Italia. Non esattamente una passante, visto che alle elezioni regionali del 2022 in Sicilia era la candidata presidente del centrosinistra.
Il primo a essersene andato è stato Beppe Fioroni, poi è arrivato il turno di Andrea Marcucci, ex capogruppo del Pd al Senato.
“Il partito di Elly Schlein è molto lontano da quello che penso io”, ha detto Marcucci spiegando quale sarà la funzione del Pd nei prossimi mesi: “Competere con i cinque stelle. La possibilità di costruire un’alternativa alla destra passa comunque da un forte ridimensionamento del partito di Conte”. Ora viene da chiedersi se ci saranno altri addii nel Pd.
Stefano Bonaccini, leader del Pd, assicura sempre che lui resterà dove è, e così faranno i suoi, ma non è detto che il presidente della Regione Emilia Romagna, sconfitto alle primarie del febbraio scorso, abbia pieno controllo su quello che succede nella sua corrente. Tanto per cominciare ha già perso il sostegno dei cosiddetti “neo ulivisti”, parlamentari ex lettiani che hanno mollato Bonaccini un mese dopo la vittoria di Schlein per costituire una corrente autonoma. Ne fa parte anche Marco Meloni, già coordinatore della segreteria di Letta, che si è molto arrabbiato per l’addio di Borghi.
I dirigenti e i parlamentari del Pd possono legittimamente attendersi altri congedi. Senza però arrabbiarsi più di tanto. D’altronde hanno eletto una segretaria ex scissionista, che se n’era andata in polemica con le politiche di Renzi segretario.