Il documento firmato dal ministro Calderoli atteso al voto preliminare: verso un nuovo rapporto tra Stato ed enti del territorio
E’ in programma oggi il primo passaggio della riforma dell’autonomia differenziata al governo. Nella seduta del consiglio dei ministri infatti arriva il documento tanto voluto dal ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli. Il passaggio è preliminare: il testo in sostanza definisce il quadro entro cui le singole Regioni potrebbero in futuro chiedere il trasferimento di maggiori competenze allo Stato, in base all’articoli 116 della Costituzione, introdotto dalla riforma del Titolo V.
I tempi per l’approvazione
Dopo l’approvazione in Cdm il ddl sarà sottoposto al parere della Conferenza Stato-Regioni, per tornare in Cdm per l’approvazione definitiva, e poi passare all’esame delle Camere.
Cosa cambia per gli enti regionali
La legge quadro – dieci articoli sotto l’intestazione ‘Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario’ – si propone di “semplificare le procedure, accelerare e sburocratizzare” i procedimenti, per una distribuzione delle competenze alle Regioni che meglio si conformi ai principi di “sussidiarieta’ e differenziazione”. L’attribuzione di funzioni da parte dello Stato alle Regioni e’ “subordinata alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che garantiscano i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale”. “Tali livelli – si legge – indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali, per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”. –
Chi decide
La legge di bilancio ha istituito a Palazzo Chigi una cabina di regia che entro la fine del 2023 deve individuare i livelli essenziali delle prestazioni. “I Lep, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e i relativi costi e fabbisogni standard, sono determinati con uno o piu’ decreti del presidente del Consiglio. Il parere e’ reso entro 45 giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Il presidente del Consiglio dei ministri, valutato il contenuto dell’intesa della Conferenza unificata e del parere delle Camere o, comunque, una volta decorso il termine di quarantacinque giorni per l’espressione del parere di queste ultime, adotta il decreto, previa deliberazione del Consiglio dei ministri”.
Le intese con le singole regioni
Le risorse umane, strumentali e finanziarie per l’esercizio delle funzioni da parte delle Regioni sono determinate da una commissione paritetica Stato-Regione. Il finanziamento avviene attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi o entrate erariali regionali. La trattativa tra lo Stato e le Regioni per la chiusura delle intese dura almeno cinque mesi. Mef e ministri competenti hanno 30 giorni per valutare la richiesta della Regione, dopo che è stata trasmessa al presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionali. Poi si apre un negoziato con la Regione per l’intesa preliminare, approvata poi dal Cdm e trasmessa alla Conferenza unificata che, a sua volta, ha 30 giorni per il parere. Quindi va alle Camere: hanno 60 giorni per l’esame nelle commissioni o, secondo le modifiche in valutazione, per un atto di indirizzo votato in Aula. Successivamente il premier (o il ministro per gli Affari regionali) predispone l’intesa definitiva (con eventuale ulteriore negoziato). La Regione la approva, ed entro 30 giorni e’ prevista la delibera in Cdm. Il disegno di legge e’ trasmesso alle Camere che votano a maggioranza assoluta. Le intese hanno durata massima di dieci anni. Stato o Regione possono chiederne la cessazione, deliberata con legge a maggioranza assoluta dalle Camere. Dalla legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.