“Più che tra amici, mi sento in famiglia“. Javier Milei esordisce così dal palco di Atreju, dove è stato ricevuto con un’ovazione da stadio. Per il presidente argentino “italiani e argentini sono uniti da una stirpe comune e legami di sangue profondi da tante generazioni“. E, dopo aver ringraziato Giorgia Meloni, si sofferma sulle “ricette politiche”: “Le ricette tradizionali della politica hanno fallito. Le mie ricette non sono quelle tradizionali ma funzionano“. Non a caso, prosegue, “contro tutti i pronostici il nostro governo è in carica da un anno. Pensavano che durassi due mesi. Oggi questa stessa gente si sorprende dei risultati“.
La stessa Meloni presentandolo poco prima ha ricordato che il leader ultraliberista “sta portando una vera e propria rivoluzione culturale in una nazione che è sorella dell’Italia. Come noi condivide l’idea che la politica fatta solo di sussidi è una politica che porta i Paesi verso il baratro, come noi sa che il lavoro è l’unico antidoto vero per la povertà”, ha detto Meloni esortando la platea ad un forte applauso. Il leader argentino ha chiarito fin dalle sue prime parole che quello della battaglia culturale era lo scopo principale della sua presenza a Roma.
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La destra globale unita
Riprendendo a parlare, Milei invita tutta la destra, i conservatori in assoluto, ad unirsi: “La destra deve lottare unita come una falange di opliti o come una legione romana, dove nessuno rompe la formazione“. Partecipando alla kermesse di Fratelli d’Italia, il presidente argentino precisa che la sua “ammirazione per l’antica Roma non viene da adesso ma da molti anni“.
Milei: “Il virus woke predomina ancora nella politica“
Milei ha desiderato illustrare quello che è un suo decalogo politico della lotta contro le idee del socialismo e del “virus woke” che “ancora predominano nella politica e nelle istituzioni occidentali“. Ad Atreju, però, il presidente argentino ha spiazzato il pubblico in sala e la stessa Meloni proponendo i suoi concetti sulla battaglia culturale ma in un’ottica ancor più amplia e citando Lenin in fatto di necessità nel dare vita ad un “internazionalismo della destra“.
“Come diceva Lenin – spiega Milei – che era di sinistra ma ci capiva, senza teoria rivoluzionaria non ci può essere movimento rivoluzionario“. Dopo aver ricevuto un flebile applauso, il leader ultraliberista afferma che si è di fronte ad un cambio epocale, dove “il virus woke sta cedendo di fronte ad una nuova politica” e per questo occorre “rimanere uniti e stabilire canali di cooperazione in tutto il mondo“.
Tra i temi che stanno a cuore al governo argentino, si staglia “una serie di principi innegoziabili“. Nello specifico, “il mercato libero” che “produce prosperità per tutti“. E ancora, “che il governo – spiega Milei – deve essere limitato, che gli argentini sanno meglio di un burocrate come produrre, chi impiegare e con chi commerciare. E in materia di sicurezza sosteniamo che chi le fa le paga. Riassumendo, difendiamo la vita, la libertà e la proprietà privata“.
L’affondo alla sinistra
Da qui, riprendendosi e riportando il discorso in linea con l’audience dopo la citazione leniniana, arriva l’affondo alla sinistra. “Siamo migliori di loro in tutto“, dice a gran voce il presidente argentino, aggiungendo con simpatia che avrebbe voluto usare una versione più “colorita” per esprimere il concetto ma “visto che sono presidente devo guardare alla forma“. “La sinistra è il culto del potere, preferisce regnare all’inferno che servire in paradiso e se deve trasformare il paradiso nell’inferno per mantenere il potere lo fa senza scrupolo“. Poi è risuonato con forza il suo ormai noto slogan: “Lunga vita alla libertà, dannazione!”.
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