A quasi un mese dall’inizio del caso Almasri, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, cerca di svelenire il clima, aprendo ad una comunicazione con la Corte penale internazionale (Cpi), la stessa che aveva emanato il mandato di arresto per il generale libico. Dal ministero dello Giustizia è quindi partita una richiesta informale di consultazione alla Corte dell’Aja, necessaria ad aprire un confronto sulle criticità che hanno caratterizzato il caso Almasri.
La Cpi, al momento, ha lasciato filtrare che non vi sarebbero indagini aperte nei confronti dell’Italia per quanto avvenuto tra il 19 e il 21 gennaio, ovvero il periodo dell’arresto, del rilascio e del rimpatrio del comandante di Tripoli. Al contrario, sul fronte interno, la situazione è ben più complessa. Ieri, il Tribunale dei ministri ha infatti acquisito gli atti relativi al caso, che serviranno ai giudici per comprendere cosa sia effettivamente accaduto nei giorni sopra citati.
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Si tratta quindi della naturale prosecuzione dell’iscrizione nel registro degli indagati del premier Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario, Alfredo Mantovano, a seguito dell’esposto presentato dall’avvocato Lui Li Gotti. Per quanto riguarda Nordio, il resto ipotizzato è quello di omissione di atti d’ufficio, mentre per gli altri tre si parla di “favoreggiamento” e “peculato“. Il Tribunale avrà quindi 90 giorni di tempo, dal momento dell’invio delle carte d’inchiesta, per decidere se chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere con l’indagine oppure archiviare il caso.
Il nodo delle accuse a Nordio
Secondo i magistrati romani, come riporta il Corriere della Sera, l’arresto di Almasri per essere mantenuto aveva bisogno del benestare del ministero della Giustizia. In assenza di questa autorizzazione, e su parere conforme del procuratore generale, è stato dichiarato il “non luogo a procedere“.
Sembrerebbe che tra le carte che analizzeranno i magistrati del Tribunale dei ministri vi sia la bozza del provvedimento preparata dagli uffici tecnici e con cui Nordio avrebbe potuto porre rimedio alla “irritualità” verificatesi nel corso dell’arresto del comandante libico e quindi confermarne l’arresto. Secondo quanto dichiarato dai magistrati, infatti, il mandato della Cpi avrebbe dovuto passare, dal ministero della Giustizia, in quanto la legge affida ad esso “in via esclusiva i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la corte“.
Invece, sembrerebbe che, a seguito dell’invio all’ambasciata e dell’inserimento del nome di Almasri nei terminali dell’Interpol, non era giunto il “via libera” del ministro Nordio. Inoltre, sembra che gli uffici ministeriali abbiano predisposto per il Guardasigilli un atto urgente che dava conto della procedura anomala e sanava l’errore, emettendo quindi un secondo mandato di arresto, che tenesse in carcere il generale libico. Nordio, invece, sempre secondo i giudici, non avrebbe risposto al procuratore generale, portando alla liberazione del ricercato. Da qui, quindi, nascerebbe l’ipotesi del reato di omissione di atti d’ufficio, immediatamente respinta dal ministro.
Intanto, le opposizioni, sfruttando il momento, avrebbero deciso di presentarsi come un fronte comune e riflettere su una possibile mozione di sfiducia al ministro, quasi in contemporanea con quella della ministra del Turismo, Daniela Santanchè. Il centrosinistra intero ha avallato l’ipotesi, con l’esclusione di Azione di Carlo Calenda.
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