Si è spento a seguito di una “grave e lunga malattia” l’ultimo presidente dell’Urss all’età di 91 anni. L’ultimo messaggio: «Fate di tutto per evitare una guerra nucleare»
«Tear down this wall!» (“Abbatta questo muro”). Le parole pronunciate dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan davanti alla Porta di Brandeburgo in occasione dei 750 anni di Berlino sono entrate nella Storia, quella con la lettera maiuscola.
«I like Mr. Gorbaciov. I think we can do business together» (“Mi piace il signor Gorbaciov. Penso possiamo fare affari insieme”). A parlare, in un’intervista alla BBC, l’inflessibile anticomunista Margaret Thatcher, primo ministro del Regno Unito.
In Occidente, infatti, “Gorby” era considerato un’opportunità per poter smantellare (o abbattere, per citare Reagan) la cortina di ferro; nel suo Paese, però, l’uomo della perestrojka non trovò la stessa accoglienza. E se la luce su uno dei più importanti protagonisti della scena politica contemporanea si è spenta, “Il Difforme” sceglie di ricordarne la vita, proponendo un excursus dalle origini fino all’ultimo messaggio.
Le origini russe e ucraine e il primo cursus honorum
Nato il 2 marzo 1931 a Privolnoye, nel sud-ovest della Russia sovietica, da una povera famiglia di contadini di origini russe e ucraine, cresce in una fattoria resa collettiva dal primo piano quinquennale stalinista, che includeva la conversione forzata dei piccoli possedimenti terrieri in fattorie controllate dallo Stato. Entrambi i nonni di Gorbaciov furono mandati nei gulag durante le repressioni di Stalin e la sua famiglia affronta la carestia del 1932; queste esperienze, che accompagnano i precoci anni di vita del giovane Mikhail, ne modellano la visione dello stalinismo e la consapevolezza del nesso tra potere e uso della violenza.
Dopo il diploma, viene ammesso alla facoltà di giurisprudenza dell’Università statale di Mosca, dove conosce la futura moglie, Raisa Titarenko; si laurea nel 1955, continuando gli studi in economia agraria all’Università statale agraria di Stavropol. Nel 1970 inizia la propria carriera politica, con l’elezione come Primo Segretario del Comitato del Partito a Stavropol’. È con questo ruolo che, nel 1974, attrae su di sé l’attenzione del Politburo, l’ufficio politico del Partito Comunista: supervisiona infatti la costruzione del Grande Canale di Stavropol, provvedendo così al bisogno di irrigazione della zona; entra nell’ente dopo essere diventato segretario del Comitato Centrale del partito.
A 3 anni dalla morte del leader Leonid Brezhnev, dopo i regimi del capo del Kgb Yuri Andropov, che coglie le qualità riformatrici del giovane di Privolnoye, e di Konstantin Chernenko, il Politburo elegge Gorbaciov segretario generale del Partito Comunista. È il 1985.
La politica di glasnost
È un anno complesso per l’Unione Sovietica: dopo il periodo di stagnazione sotto Brezhnev e i brevi governi successivi, il Paese si trova in un declino economico, sociale e politico. Seppure impegnato a preservare lo Stato sovietico e i suoi ideali, per Gorbaciov c’è bisogno di una riforma significativa, specie dopo quanto accaduto a Cernobyl, e decide di agire in questo senso: si ritira dalla guerra sovietico-afghana e intrattiene vertici con il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, per limitare le armi nucleari e porre fine alla guerra fredda; riallaccia i rapporti interrotti con la Cina, si reca in Vaticano da Wojtyla. È il primo leader sovietico a incontrare un Papa.
Un cambio radicale di atteggiamento nei confronti dell’Occidente, ma non solo: a definire la sua politica a livello nazionale sono le parole chiave glasnost (“apertura”), per una maggiore libertà di parola e di stampa, e perestrojka (“ristrutturazione”), con l’intento di decentralizzare il processo decisionale economico per migliorare l’efficienza.
È l’inizio della fine dello Stato monopartitico, in favore di un sistema presidenziale: a governare è un presidente scelto democraticamente dal Congresso del popolo. Nel 1989 ci sono le prime libere elezioni. Nel novembre 1989, dopo una breve visita di Gorbaciov in Germania Est, cade il muro di Berlino. Da questo momento in poi, nulla sarebbe rimasto come prima; entro la fine dell’anno, non ci sarebbe stato un solo Paese comunista in Europa.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica e le dimissioni
Con un’economia ancora stagnante e le crescenti aspirazioni popolari, la disgregazione dell’Urss, nel 1991, appare veloce; Gorbaciov rifiuta di intervenire con le armi in aiuto dei regimi satelliti, ponendo di fatto fine alla Dottrina Breznev, mentre le repubbliche baltiche prima, quelle caucasiche e l’Ucraina poi dichiarano il loro diritto all’indipendenza: il blocco comincia a perdere pezzi.
Internamente, a minacciare la frantumazione dell’Unione Sovietica sono i crescenti sentimenti nazionalisti: i comunisti più rigorosamente conservatori lanciano un fallito quanto ridicolo colpo di Stato nell’agosto del 1991. Sequestrato per 3 giorni nella villa presidenziale in Crimea, dove era in vacanza con la famiglia, il 25 dicembre dello stesso anno, dà le dimissioni. Nel suo discorso di addio dice: «Resto fedele a quei principi che mi hanno ispirato a difendere l’idea di una nuova Unione. Il vecchio sistema è crollato prima che il nuovo abbia potuto mettersi in moto». Qualche minuto dopo, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche cessa di esistere.
L’ultimo messaggio è un pensiero contro la guerra nucleare
Anche dopo la fine della sua carriera politica, Gorbaciov continua a parlare: con la “Fondazione Gorbaciov”, si interessa di problemi di ordine sociale, economico e geopolitco.
Fa sentire la sua voce un’ultima volta: a marzo, 2 settimane dopo l’invasione dell’Ucraina, ma l’ultimo messaggio è rivolto a tutto il mondo ma è impossibile non pensare al suo attuale omologo: «Fare di tutto per evitare un conflitto nucleare». Si spegne a Mosca un uomo che è stato capace di sollevare il sempre più lacerato velo dell’ideologia per mostrare, coraggiosamente, anche a chi tuttora lo considera un distruttore una visione riformatrice tanto impossibile e radicale quanto necessaria.