Tutti invocano una de-escalation fra Israele e Iran, ma ognuno lo fa in modi molto diversi. Un’Europa ignava ripete come un esorcismo la formula “due popoli, due Stati”, cioè qualcosa che esiste soltanto nella fantasia di governi imbelli, preoccupati solo di non essere raggiunti dai rumori di guerra ogni ora più forti che arrivano dal Medio Oriente. Anche gli Stati Uniti invocano il dialogo e Joe Biden prova a frenare Bibi Netanyhau, nello stesso tempo però rafforza il dispositivo militare nel Mediterraneo pronto a supportare Israele per difendersi dalla più che certa vendetta dell’Iran per l’uccisione di Ismail Haniyeh, il sanguinario capo politico di Hamas, fatto saltare in aria Teheran, mercoledì scorso, con l’esplosione di una bomba collocata nella sua residenza due mesi prima. Con il supporto, e questo sarebbe un fatto clamoroso, di alcuni funzionari ed esponenti militari del regime iraniano.
La situazione sul terreno ricorda solo in parte quella del 1948. Esattamente il 15 maggio di quell’anno nasceva lo Stato di Israele, a seguito della risoluzione 181 dell’Onu. Alcuni Paesi arabi (Egitto, Transgiordania, Arabia Saudita, Iraq e Libano) dichiararono guerra con la motivazione di difendere gli interessi degli arabi-palestinesi inglobati all’interno del nuovo Stato. Oggi le cose sono molto diverse. Israele ha un nemico dichiarato che vuole la sua distruzione, il regime teocratico dell’Iran. Ali Khamenei manovra truppe di terroristi (Hezbollah in Libano, Houti nello Yemen del Nord, Hamas a Gaza). Gli altri Stati arabi, soprattutto quelli di fede sunnita, hanno stretto rapporti diplomatici con Israele o sono sul punto di farlo (Arabia Saudita).
L’Iran, per quanto crescente sia il suo isolamento nella comunità araba, non può rinunciare a vendicare la morte di Ismail Haniyeh. L’uccisione del sanguinario capo politico di Hamas, mercoledì scorso, mentre era a Teheran ospite del regime, è stato un duro colpo alla credibilità e all’autorevolezza di Ali Khamenei. Dover ammettere l’inadeguatezza dei servizi segreti, resa ancora più pericolosa dalla notizia che il Mossad si sarebbe avvalso di alcuni alti ufficiali iraniani infedeli a Khamenei, è stato un duro smacco. La vendetta è dunque un atto necessario per conservare l’influenza politica sui vari gruppi terroristici foraggiati direttamente e sostenuti politicamente da Teheran.
La sfrontatezza degli ayatollah si è spinta fino a censurare l’Unione europea per la mancanza di espressioni di cordoglio per la morte di Haniyeh. Naturalmente da un’Europa sempre più tartufesca e ipocrita non si è levata una sola voce per ricordare a Teheran che Haniyeh è un terrorista, un assassino senza scrupoli di civili, donne e bambini. Che conduceva una vita dorata a Doha, dove si sono svolti i funerali.
Israele attende con ansia crescente il trascorrere delle ore. L’Iran, come si diceva, non può rinunciare a una rappresaglia senza mettere a rischio la sua credibilità. Se è vero che lo stesso regime non vuole un’escalation bellica, si può ipotizzare che metterà in campo una vendetta “controllata” alla quale seguirà una risposta israeliana. Evitare l’escalation con le parole serve a poco se viene poi alimentata dagli atti che si compiono. Gli Stati Uniti lavorano per circoscrivere l’incendio ma questo non ha impedito all’amministrazione Biden di rafforzare la presenza militare al largo di Israele, pronti a intervenire in caso di aggressione da Teheran. Per Washington l’equidistanza diplomatica, insomma, è un dato importante ma non tale da mettere in discussione l’alleanza militare con Tel Aviv.
L’interlocutore fantasma sul piano diplomatico, e del tutto assente su quello militare, è l’Unione europea. Attaccata disperatamente alla formula vuota dei “due popoli, due Stati”, l’Europa non ha alcun ruolo in questa crisi. Non lo ha per la ragione che non dispone di nessuno degli atout indispensabili: se rifornisce di armamenti Israele lo fa per canali ufficiosi, temendo le ritorsioni dei Paesi arabi; non ha mai formulato una sua dottrina diplomatico-militare sul Medio Oriente; ha espulso il concetto stesso di guerra dal proprio vocabolario in cui la “pace” è la parola dominante, senza mai preoccuparsi di mettere in campo gli strumenti indispensabili, e gli armamenti lo sono, per costruirla e difenderla. Perché la pace, una volta realizzata, va poi difesa dalle minacce di coloro che nella pace perdono posizioni di potere.
Accertata l’inanità di ogni azione europea, viene da chiedersi come sarà possibile spezzare l’assedio stretto dai regimi autocratici alle democrazie occidentali. Che poi è questa e non altra la causa prima dell’aggressione iraniana a Israele: una pedina della grande aggressione geo-politica portata da Cina, Russia, Iran e Corea del Nord alle democrazie liberali. Con queste ultime balbettanti e indecorosamente inerti di fronte a tali minacce. E così rimarranno fino a quando non si renderanno conto che gli Stati Uniti non potranno più sopportare da soli il peso di rompere l’assedio. E la prossima guerra in Medio Oriente è solo un altro capitolo dello sconvolgimento geopolitico.
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