Uno spettro si aggira per l’Italia: è quello della sinistra senza più la ragione sociale

Davvero Elly Schlein pensa di attirare e ingolosire gli italiani lanciando l’allarme per la democrazia nel Paese? Davvero Maurizio Landini ritiene compito della Cgil di occuparsi delle sorti dell’umanità ma non di quelle di alcune migliaia di lavoratori di Stellantis prossimi al licenziamento mentre la società trasferisce in America investimenti e posti di lavoro e sigla accordi con i produttori cinesi? Che cosa è successo alla sinistra italiana per disinteressarsi dei costi delle bollette energetiche, delle famiglie senza più risparmi e di 6 milioni di italiani che hanno smesso di curarsi?

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È lo spettro del Pd e della sinistra radicale quello che ci capita di incontrare sull’autobus o su un treno pendolare o in metro: lavoratori, studenti, casalinghe in giro per la spesa, parlano e si incavolano per quanto hanno speso al supermercato o al mercatino della frutta. I ragazzi ci vanno giù con più ironia, loro i soldi li ricevono dal padre o dalla madre e alla loro età si può scherzare se sono pochi. Parlano come tante tribù: di là i ragazzi, di là casalinghe e pensionati che sacramentano su quanto hanno speso. Fra i giovani si parla di tutto un po’.

La tragedia di Gaza si affaccia a intermittenza. È un mondo a parte. Di quel mondo non c’è traccia sui radar del “campo largo” o della Cgil. Mai pervenuti. Schlein si occupa della democrazia a rischio in Italia, Landini delle sorti dell’umanità e di Gaza in particolare.

Di loro non c’è traccia ai cancelli Stellantis di Mirafiori, a Torino, o ai cancelli di Atessa, in Abruzzo, o a quelli di Cassino, nel Lazio, o di Melfi in Basilicata. In ognuno dei siti produttivi stanno per scattare richieste di cassa integrazione, a zero ore e, più in là, lo spettro della chiusura.

Quando la Cgil era ancora il sindacato più forte e rappresentativo delle “tute blu”, a un certo punto scattavano gli scioperi a macchia di leopardo, poi il ministro dell’Industria (oggi sarebbe del Made in Italy, cioè il ministero che dovrebbe tutelare le produzioni italiane ma dalle cui stanze invece passano le produzioni che lasciano l’Italia) convocava il famoso tavolo a via Veneto e una qualche via d’uscita veniva trovata. Per lo più veniva trovata a carico dell’erario e mai dell’azienda alla quale venivano accordati addirittura benefici e promesse di vantaggio fiscale.

Parliamo di riti e liturgie che hanno scandito i lunghi decenni della cosiddetta prima Repubblica. Nel caos apparente di quel lungo periodo, la politica aveva la capacità e l’autorevolezza necessarie per essere ascoltata dopo avere ascoltato le ragioni di tutti. Un posto a parte era quello che la sinistra – il Pci e il PSI, insieme al sindacato di riferimento, la Cgil – occupava in quella stagione di lotte politiche e di intese.

Mi chiedo se Elly Schlein, su sua iniziativa o dietro consiglio di qualcuno dei suoi, abbia mai pensato di sfogliare l’album dí famiglia per leggervi le cronache di battaglie sindacali e politiche coronate spesso da successi (penso all’unificazione del punto di scala mobile fra impiegati e operai) o alle grandi riforme (non tutte positive, sia chiaro) come l’istituzione delle Regioni o la riforma del Sistema sanitario nazionale. Il Pci e la sinistra in generale erano soggetti proattivi, non subivano l’iniziativa delle maggioranze ma più spesso erano loro ad assumere l’iniziativa e a mettere carburante nelle riforme sociali.

È vero, tutto è cambiato. La destra un tempo post-fascista oggi è diventata “a-fascista”, per dirla con il presidente del Senato Ignazio La Russa. Finito l’arco costituzionale, il campo da gioco si è allargato e il posto del Pci è stato preso da quell’ “amalgama mal riuscito” (copyright Massimo D’Alema) che è il Pd. Il cambio non è soltanto nell’acronimo, come è ovvio. È una vera e propria rivoluzione antropologica quella subita dalla sinistra italiana.

Una rivoluzione, è il caso di osservare, che non si era manifestata fino all’arrivo di Schlein, ma solo perché il Pd – con il sostegno di altre forze – sapeva occupare i piani nobili del potere ed esprimere presidente del Consiglio con un senso ancora vivo degli equilibri istituzionali.

Smentendo uno degli adagi più celebri di Giulio Andreotti (“il potere logora chi non ce l’ha”), lunghi anni a palazzo Chigi hanno come infiacchito lo spirito della classe dirigente della sinistra. Come se l’iterazione del sempre uguale avesse finito per rendere ineluttabile la coincidenza fra Pd e palazzo Chigi.

Sia chiaro, non è un’analisi della psicologia di massa che si vuole fare anche perché non sarebbe questa la sede adatta né chi scrive possiede gli strumenti adeguati. È certo, però, che dentro il Pd si incrociano le ragioni più diverse della crisi che ha colpito quel partito e i suoi alleati, il M5S in particolare. Mentre un’attenzione particolare andrebbe riservata a quella federazione Avs-Verdi che presidia un’area dell’offerta politica lasciata sguarnita da Pd e M5S.

Il Pd, dirà qualcuno, non è Elly Schlein, però nel silenzio cimiteriale che vi domina è vero che Elly Schlein è il Pd. A tal punto scatta l’identificazione con il partito, come è successo al congresso socialista ad Amsterdam, che un’affermazione abnorme come la democrazia che sarebbe a rischio in Italia con il governo di destra – o che lo stesso governo avrebbe in qualche modo favorito l’attentato a Sigfrido Ranucci – ha provocato la reazione indignata di Giorgia Meloni ma, tranne qualche increspatura, è calata nel silenzio del Pd. È un’involuzione complessiva che la sinistra accusa da quando ha perso palazzo Chigi, con l’ultimo governo di Paolo Gentiloni prima delle elezioni del 2018.

È come se la lontananza dal potere avesse all’improvviso scosso un partito ormai impigrito, rassegnato a fare e disfare governi senz’altra motivazione che non sia la perpetuazione di sé stesso, dei propri vizi come dei propri agi e senza più nessuna delle antiche virtù. Il Pd sì è ritrovato spossato, come colpito da una misteriosa anemia che ne ha paralizzato la capacità di elaborare cultura e strategia politica. Perché riuscirebbe difficile a ogni persona di buon senso sostenere che sia una strategia cavalcare le piazze pro-Pal o lanciare stanchi e rituali allarmi democratici perché Meloni sta a palazzo Chigi.

Lo spettro che si aggira per l’Italia è quello di una sinistra finita molti anni fa, e sente oggi di essere mortificata da quelli che vorrebbero rappresentarla come una sarabanda quotidiana, poco presente in Parlamento e sedotta dal richiamo della Piazza. Lo ha capito bene Arturo Parisi, consigliere di Roman Prodi quando Prodi era a palazzo Chigi. “Guai – ha ammonito Parisi – se la sinistra pensa di tornare alla contrapposizione fra Piazza e Palazzo”. Il sottotesto recita: sarebbe condannata all’opposizione in eterno. 

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