Tutto cambia nella vita di un atleta quando un giorno che non si aspetta affronta in gara il suo idolo, colui che per anni ha occupato la sua fantasia, ne ha sequestrato l’immaginazione e attraversato perfino i suoi sogni senza per questo diventare un’ossessione. È successo il 15 novembre 2023, a Torino, intorno alle 23.
Quella notte Jannik Sinner ha scoperto di essere diventato Jannik Sinner battendo il numero 1 al mondo, “Nole” Djokovic numero 1 non più imbattibile, non più inarrivabile, non più immarcescibile, ma umano tra gli umani. È il ciclo della vita, e il tennis non sfugge. Che cosa è scattato nella testa del tennista italiano più acclamato dai tempi di Adriano Panatta? Nulla di speciale, sembrerebbe, ma molto di speciale per un ragazzo di 22 anni.
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Quella notte, Sinner si è accorto del pubblico. Ha sentito la trepidazione, l’ansia carica di attese di migliaia di persone mai immobili, stipate sulle tribune del Pala Alpitour. Con gli occhi che spazzavano l’aria, da sinistra a destra, da destra a sinistra. Il servizio, la risposta, poi il corpo a corpo con quella palla giallognola solcata da due semicurve.
Sinner sentiva, fra un gioco e l’altro, i cori che invocavano il suo nome. “Jannik … Ja-nnik“. Intervistato qualche giorno fa durante la cerimonia dei Super Tennis Awards, ha ammesso, con il candore e la pulizia della sua età, che mai prima di quella sera a Torino aveva sentito cori da stadio in un salotto da tennis. “È stata un’emozione molto bella. Senti la connessione col pubblico, che forse è la cosa più bella. A Torino mi hanno fatto sentire davvero a casa”. La connessione, il pubblico, Torino, casa: è il percorso che porta il campione di uno sport a entrare nell’immaginario collettivo, la sua vita diventa la vita di milioni di persone ansiose di conoscere tutto, di non lasciare nessun angolo in ombra.
Sinner non si guarda, si ascolta
Curiosa ma illuminante la definizione del gioco di Sinner data da “Nick” Pietrangeli: Sinner non si guarda, si ascolta. Il campione di ieri ha svelato un tratto del campione di oggi che solo un orecchio finissimo può cogliere: il suono, rotondo e secco insieme, che produce la palla quando viene colpita da Sinner. Quel suono diventa ancora più nitido quando è il rovescio a colpire. Non lascia una scia di vibrazioni. La palla piomba sulla racchetta, un fulmine improvviso, per essere respinta con una più potente scarica elettrica. Non prima, però, di essere addomesticata, istruita sulla nuova traiettoria che può essere un incrocio, un long line, una volée o un break.
Sinner, loquacità fatta di silenzi e rare parole
Chi fa tutte queste operazioni, da eseguire in frazioni di un secondo, è quello spilungone rosso, con babbo e mamma specialisti ai fornelli. Nato a San Candido, e per diritto di nascita destinato a indossare gli sci ancora bambino per cercare fortuna fra i pali stretti dello slalom o quelli larghi del gigante. San Candido lo ha generato ma Sesto di Pusteria lo ha cresciuto. Perché è lì, a pochi chilometri, che Jannik ha vissuto e conosciuto le prime esperienze, prima sui legni poi, quasi per caso, sulla terra rossa. È loquace, di una loquacità più figlia dell’anagrafe che non della sua terra, fatta di silenzi e di rare parole.
La modestia è un tratto naturale, non conosce falsi pudori. Quando si esalta, lo fa con la beata incoscienza dei suoi pochi anni. Stima gli avversari, tutti, senza eccezioni, e a loro porta sempre un rispetto mai sussiegoso. Ha tanta strada da percorrere e tanta voglia di percorrerla. Sa di doversi migliorare, ma questo lo sa soltanto lui mentre sfugge a noi poveri mortali in che cosa debba migliorare una macchina già perfetta.
È un perfezionista, proprio come il suo idolo Djokovic. E proprio come Djokovic sa che la perfezione non è una dote innata, ma una conquista da rinnovare ogni giorno, ogni mattina che lasci il letto e guardi il borsone e il manico della racchetta che ne sbuca. E sai che ti aspettano ore di sudore sulla terra rossa, sul cemento o sull’erba. Sinner non si nasce, si diventa.
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