A Genova ha vinto Silvia Salis con il centrosinistra. Dopo due legislature di centrodestra, le sinistre riconquistano la città. Ma attenzione: prima di far partire le fanfare e scolpire il volto di Elly Schlein su qualche colonna di Palazzo Tursi, conviene respirare a fondo, guardare bene il quadro e, se possibile, disattivare l’effetto Instagram che filtra anche le crepe.
Perché sì, la vittoria c’è, ma, come direbbe uno zio sospettoso a Natale, “aspetta a scartare il panettone”. La nuova sindaca non è del PD, né del M5S. È Silvia Salis, ex atleta, personalità stimata, ma non certo uscita da un gazebo democratico. È come se avesse vinto un torneo di padel senza racchetta, ma con una padella. Un’impresa, certo, ma che non le farebbe curriculum per Wimbledon.
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Il PD e il M5S l’hanno sostenuta con convinzione. O con quello che nel centrosinistra viene considerato “entusiasmo”: un comunicato stampa condiviso, un post coordinato e il silenzio strategico su ogni argomento divisivo. Che, in tempi di “campi larghi” e diffidenze a media tensione, è già quasi un miracolo.
Ecco il punto: a sinistra si continua a celebrare ogni fragile coabitazione locale come prova generale per il governo nazionale. Come se la tenuta di una coalizione in un Comune fosse il trailer affidabile di un film che poi, al cinema, viene riscritto da un altro regista e interpretato da attori che non si parlano. Nel 2022 lo abbiamo già visto: l’alleanza “di tutti” ha retto nei Comuni, si è inceppata alle Regionali e si è polverizzata alle Politiche. È la sindrome del laboratorio permanente: sperimentare va bene, ma prima o poi bisogna anche arrivare al prodotto finito.
A Ravenna, invece, il centrosinistra tiene. Ma lì è come se Sinner vincesse contro il numero 100 del mondo: fa notizia solo se perde. E altrove? Si balla, sì, ma con un piede solo. A Taranto e Matera, ad esempio, i ballottaggi sono figli delle solite divisioni tra progressisti e delle faide interne alla destra. A Taranto, FdI e Lega si sono sfidati come due concorrenti di “C’è posta per te”, ma senza la busta. Il risultato? Niente sindaco al primo turno. Un gran bel (capo)lavoro di autosabotaggio.
Eppur si muove. La vera notizia è che l’affluenza non è scesa. In un Paese dove ormai si vota con la stessa passione con cui si fa la fila al CAF, vedere una partecipazione stabile è quasi un miracolo laico. Forse, tra bonus psicologo e redditi di inclusione aboliti, gli italiani hanno afferrato che qualcosa di concreto si decide anche nei semplici consigli comunali. Dopo anni di discesa inarrestabile, l’elettorato si è mostrato almeno curioso. Non è amore, forse è abitudine. Ma rispetto ai soliti funerali democratici, anche un piccolo sussulto va bene lo stesso.
Ma da qui a vedere Genova come “laboratorio politico nazionale” ci passa un treno. È la solita illusione ciclica del “campo largo”: un’alleanza che regge nei comuni, vacilla nelle regioni e implode a livello nazionale. Schlein e Conte per ora si guardano e si sorridono come due cognati che hanno appena litigato alla grigliata di Pasquetta, ma non possono evitarlo al matrimonio del cugino. La tenuta dell’alleanza è al VAR.
Nel frattempo, Giorgia Meloni può tirare un mezzo sospiro di sollievo. Non ha vinto alle comunali? Amen. Il voto locale è liquido, imprevedibile, talvolta persino troppo logico. Ma i sondaggi nazionali la tengono ancora in alto, anche grazie a un’opposizione che sembra aver fatto un fioretto mariano strategico.
In tutto ciò, il vero test sarà in autunno: sei regioni al voto, 17 milioni di elettori e il sogno del terzo mandato per alcuni governatori che non vogliono mollare la poltrona nemmeno col silicone. Lì capiremo se il “vento” di Genova era solo una brezza ligure o qualcosa di più.
Per ora il centrosinistra può brindare soltanto con l’acqua frizzante. E magari con un occhio alla prossima cena di coalizione, dove si discuterà se mettere in lista Calenda, Renzi o semplicemente chiamare un altro ex atleta. Magari uno che salta gli ostacoli.
Dopotutto, la sinistra italiana non ha bisogno di vincere per caso. Ha bisogno, finalmente, di sapere perché vince. E con chi.
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