“Mettetevi comodi perché noi abbiamo intenzione di restare a lungo”: Elly Schlein, già sotto assedio nel suo partito per un esordio non proprio esaltante (“nella migliore delle ipotesi casi sta zitta, nella peggiore deraglia…”) costellato da molte sortite inopportune e culminato con la disastrosa sconfitta alle amministrative. La segretaria, insomma, ha scelto di difendersi attaccando, con una relazione fiume e una pioggia di luoghi comuni della vecchia sinistra che hanno addormentato l’uditorio, che infatti le ha dispensato pochissimi applausi. “Abbiamo bisogno di costruire sinergie con le altre forze politiche alternative alla destra. Per questo continueremo a insistere con le altre opposizioni sui temi su cui possiamo unire forze piuttosto che insistere su differenze che pure sono significative”. Il filo conduttore dell’intervento in una direzione più volte rinviata è stato quello dell’unità del Pd, invocata più volte ma solo alle sue condizioni, perché non c’è alcuna intenzione di deflettere dalla linea di sinistra radicale della mozione che ha vinto il congresso. Con l’invito un po’ provocatorio a chi non è d’accordo di uscire allo scoperto, col sottinteso che non sarà la guerriglia interna a farla recedere dai suoi principi. Il mondo di Elly è apparso oggi più di sempre disconnesso dalla realtà, come se gli insuccessi le avessero già dato alla testa, e se le insanabili divisioni a sinistra fossero un problema marginale risolvibile con un semplice appello alla buona volontà di contrastare le destre. “Come sono andata dai Cinque Stelle, andrei anche da Calenda, se mi invitasse” – ha detto la segretaria – anche se con Conte abbiamo idee diverse sull’Ucraina e non voterei mai il premierato di Calenda”, senza però spiegare come venire a capo dell’equazione ad ora impossibile di mettere insieme un fronte comune delle opposizioni. Mentre da Renzi non ci andrebbe mai, come ha fatto capire con una battuta rancorosa che ha svelato molto anche del suo profilo istituzionale: Elly ha infatti ribattuto al leader di Italia Viva che l’ha accusata di subalternità a Conte rinfacciandogli che lui è stato subalterno a Berlusconi invitandolo al Nazareno “per siglarci un patto”. Una ricostruzione assolutamente strabica e strumentale, perché quando Renzi propose un patto istituzionale al leader dell’opposizione lo fece da una posizione di forza – lui era premier e il Cavaliere era stato appena cacciato dal Parlamento – e partiva dal presupposto che le riforme vanno fatte coinvolgendo le opposizioni.
Su un’unica cosa la Schlein è stata chiarissima: la condanna alla “guerra criminale di Putin”, con una netta presa di distanze da Conte e dalla sua piazza fintopacifista. Per il resto, ha sciorinato – dal fisco al lavoro, dall’ambiente alla sanità, dalla giustizia all’immigrazione – tutto il repertorio della sinistra tassa e spendi, invocando aumenti di spesa generalizzati senza ovviamente spiegare dove prendere i soldi, e accusando il governo di non saper spendere le risorse del Pnrr, omettendo però di ricordare che il piano era stato scritto dal governo Draghi – e quindi anche dai ministri del Pd – e che la stessa Europa ora sta riconoscendo la necessità di riscriverlo in parte.
La segretaria ha suggerito i temi su cui ragionare insieme alle altre opposizioni: “Più assunzioni, più sicurezza sui luoghi di lavori, facciamo una legge sulla rappresentanza e continuiamo a insistere in parlamento e fuori per un salario minimo. Lavoriamo al raggiungimento di una posizione comune fra tutte le opposizioni”, con un forte appello alla mobilitazione nel Paese su questa agenda tutta sbilanciata a sinistra, e con la demonizzazione del governo Meloni come l’origine di tutti i mali del Paese. Per cui nei prossimi mesi si annuncia una radicalizzazione dello scontro politico, dal fisco alla giustizia, tema su cui la Schlein ha cercato di minimizzare i contrasti fra lei e i sindaci del Pd sulla spigolosa questione dell’abuso d’ufficio.
C’è da vedere ora come evolverà il dibattito interno, mentre continuano le fughe dal partito (le ultime in Molise, dove tra una settimana si vota…), e quanto l’ala riformista possa restare in un Pd che sta progressivamente smarrendo il suo dna originario, trasformando la vocazione maggioritaria in una deriva identitaria e minoritaria, sia sui diritti che sulle politiche economiche.
La ricetta per l’Italia declinata anche ieri dalla Schlein parte infatti da un vecchio cavallo di battaglia della sinistra, ossia aumentare le imposte sulle rendite finanziarie, un annuncio che porta direttamente alla patrimoniale, strumento indispensabile per arrivare alla “redistribuzione” delle risorse ai danni soprattutto del ceto medio, impoverito dal susseguirsi di crisi finanziarie e pandemia. Il suo concetto di sviluppo è molto vicino alla narrazione grillina, che dice no alla “dittatura del Pil” per porre piuttosto l’accento sugli indicatori di benessere collettivo (Bes) che tengano conto dell’impatto sociale, ambientale e di genere. Si ripropone, insomma, l’equivoco di una sinistra che pretende la redistribuzione senza tenere conto che la ricchezza per essere redistribuita prima va creata. Il modello prefigurato dalla Schlein è un po’ un ritorno al governo dell’Unione, che in venti mesi batté tutti i record negativi, raggiungendo la più alta pressione fiscale (oltre il 44%) e la più alta spesa corrente di tutta la storia repubblicana, con due Finanziarie improntate più alla vendetta sociale che allo sviluppo economico, e la leva fiscale usata come una clava sul ceto medio. Tassa e spendi, appunto, secondo le peggiori tradizioni della sinistra.