Schlein, un esordio da salario minimo

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Il primo match in aula tra la premier Meloni e l’autoproclamata leader dell’opposizione, Elly Schlein, si è svolto su un canovaccio molto prevedibile: pragmatismo contro propaganda

Il primo match in aula tra la premier Meloni e l’autoproclamata leader dell’opposizione, Elly Schlein, si è svolto su un canovaccio molto prevedibile: pragmatismo contro propaganda. Tema del question time alla Camera era il salario minimo, vecchio cavallo di battaglia della sinistra che quando è stata al governo si è però ben guardata dall’attuarlo. Ma, essendo un argomento demagogico e di sicura presa popolare, la Schlein lo ha scelto come primo capo d’imputazione per mettere sotto accusa il governo.

Le parole della Schlein

“Signora presidente – ha detto – le sue risposte non ci soddisfano, non si nasconda dietro un dito. Se fosse bastata la contrattazione collettiva non avremmo tre milioni di lavoratori poveri. È in carica da soli cinque mesi ma state già andando in direzione opposta e sbagliata”. La risposta della premier è stata fin troppo facile, riconoscendo beffardamente alla sua interlocutrice l’onestà intellettuale di aver ammesso che negli anni in cui il Pd è stato al governo la quota di prodotto interno lordo destinata a salari e stipendi è diminuita più che nel resto degli altri Stati industrializzati. 1-0 e palla al centro. Ma al di là delle schermaglie, il problema del lavoro povero è un’emergenza oggettiva e dunque da affrontare, e infatti il governo nei primi mesi di legislatura, pur con le risorse limitate a disposizione, ha già dato importanti segnali in questo senso: interventi a tutela del potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, il rinnovo del taglio di due punti percentuali del cuneo fiscale e contributivo con l’aggiunta di un ulteriore punto del taglio contributivo per i redditi più bassi. Solo primi passi, ovviamente, verso l’obiettivo di aumentare i salari dei lavoratori garantendo retribuzioni dignitose, adeguate al lavoro svolto e al contesto socio-economico.

La distorsione della realtà

I fautori ideologici del salario minimo per legge tendono a dividere la politica in modo manicheo tra chi ha a cuore il potere d’acquisto dei lavoratori e chi li vorrebbe penalizzare. E’ una palese distorsione della realtà: tutelare i salari è un obiettivo condiviso da tutti, ma la strada giusta è quella di agire sul cuneo fiscale, ampliare la contrattazione e aumentare la produttività, superando il gap accumulato negli ultimi trent’anni rispetto all’Europa. Non è un caso che su questa linea convergano anche le forze sindacali riformiste. Il problema del lavoro povero non si risolve infatti imponendo il salario minimo per legge: se gli stipendi italiani negli ultimi trent’anni sono rimasti fermi e quelli tedeschi sono invece saliti di oltre il 30 per cento è perché la produttività del lavoro da noi è cresciuta solo del 10 per cento e in Germania del 40. E’ dunque la produttività l’unica vera leva per aumentare le retribuzioni, e sarebbe estremamente rischioso scaricare sulle spalle delle imprese l’aumento del costo del lavoro senza un corrispondente incremento della produttività.

Le conseguenze di una legge sul salario minimo

Una legge sul salario minimo inoltre danneggerebbe la contrattazione collettiva e indebolirebbe le relazioni industriali, e dunque bisogna difendere il potere d’acquisto dei lavoratori tagliando il cuneo fiscale sulle buste paga senza danneggiare le imprese. La sinistra si aggrappa però al solito argomento: il salario minimo per legge ce lo chiede l’Europa. Falso: la direttiva comunitaria è diretta solo a quei Paesi che non hanno un livello adeguato di contrattazione, ma l’Italia ha un sistema contrattuale che va molto al di sopra della soglia dell’80 per cento che chiede l’Ue. Non c’è dunque bisogno di una legge manifesto che potrebbe peraltro diventare un boomerang paradossale, inducendo migliaia di piccole imprese a recedere dai contratti nazionali e ad applicare un salario minimo più basso di quello fissato dagli accordi. La leader del Pd ha promesso che quello di ieri è stato solo l’inizio di un’offensiva a tutto campo contro il governo, ma il primo affondo non è stato un granché: un esordio, diciamo così, da salario minimo.

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