Finora ogni tentativo di riforma presentato dal centrodestra si è scontrato con le fortissime resistenze della corporazione togata: una stagione che dovrebbe essere definitivamente superata
Se si concretizzerà il pacchetto di riforme a cui sta lavorando il ministro Nordio – i cui dettagli sono stati annunciati questa settimana sia alla Camera che in un’intervista al Foglio – per la giustizia italiana sarà davvero una rivoluzione copernicana. Alla stretta sulle intercettazioni – con un maggior controllo sull’uso dei trojan – si aggiungerà il divieto di divulgare notizie sulle inchieste fino alla richiesta di rinvio a giudizio, riportando così l’avviso di garanzia alla sua ratio originaria, mentre col tempo si è trasformato in una sentenza di condanna anticipata. Maggiore tutela per gli indagati, dunque, nel solco della presunzione d’innocenza prevista dalla Costituzione. Non solo: l’eliminazione del processo d’appello dopo l’assoluzione in primo grado allineerà il nostro processo a quello anglosassone, da cui abbiamo mutuato il sistema accusatorio senza però mai applicarlo in modo compiuto. Anche il ritorno della prescrizione dopo il primo grado è un ritorno al garantismo dopo la stagione giacobina dei Cinque Stelle al governo, e la revisione del reato di abuso d’ufficio sanerà una situazione paradossale che ha visto inquisire migliaia di sindaci, bloccando di fatto l’azione amministrativa, per poi sfociare nel 98 per cento di assoluzioni. Ma il cambiamento decisivo sarà la separazione delle carriere tra giudici e pm.
Riforma organica: il programma
Quella di Nordio si profila, dunque, come una riforma organica per arginare l’interventismo del partito delle procure e sincronizzare il nostro sistema giudiziario con lo spirito del processo accusatorio varato nel lontano ’88. Finora ogni tentativo di riforma presentato dal centrodestra si è scontrato con le fortissime resistenze della corporazione togata, una stagione che dovrebbe essere definitivamente superata: Nordio non ha infatti conflitti d’interesse, mentre ha un’idea molto chiara, che si è fatta sul campo, di cosa serve per migliorare la giustizia: il rito accusatorio si fonda su princìpi basilari come la divisione delle carriere, la distinzione tra giudice del fatto e del diritto e la discrezionalità dell’azione penale. Invece in ampi settori della magistratura associata l’obbligatorietà dell’azione penale è considerata una sorta di totem intoccabile, oltre che il simbolo stesso dell’indipendenza togata. Per questo, il problema di arrivare a un ordinamento in cui giudice e pm siano inquadrati in modo da garantire la terzierà del primo è rimasto per decenni senza soluzione, anche se nessuno nel centrodestra ha mai veramente pensato né di mettere in discussione l’indipendenza della magistratura né di sottoporre la figura del pubblico ministero al controllo del potere esecutivo. Ipotesi che peraltro fa inorridire il ministro: “Chi lo paventa dice una balla colossale. L’indipendenza della magistratura per me è un idolo, se non ne avessi un rispetto sacrale non avrei fatto il magistrato ma l’impiegato”.
Nordio inoltre ha un profilo garantista inattaccabile, ampiamente dimostrato da tante coraggiose prese di posizione controcorrente, come quando da procuratore aggiunto di Venezia affermò che “il pubblico ministero italiano è l’unico caso al mondo dell’esercizio di un potere enorme, quale quello che gli deriva dall’essere il dominus delle indagini senza doverne rispondere a nessuno”. Del resto, basta leggere il suo libro più recente, “Giustizia Ultimo Atto”, una ricostruzione lucida e impietosa dei fallimenti che hanno segnato gli ultimi trent’anni a causa del rapporto perverso tra giustizia e politica, da Tangentopoli fino al “crollo della magistratura”. Una deriva alimentata anche dal legislatore, che dopo aver cancellato l’immunità parlamentare si è fatto dettare dall’ordine giudiziario una serie di reati talmente vaghi e impalpabili, come il concorso esterno o il traffico di influenze, che hanno definitivamente consegnato la politica in mano al partito delle Procure.
La separazione delle carriere: cosa cambia
La separazione delle carriere è un punto cruciale del programma di governo e Nordio, che pure è stato prima giudice e poi pm facendo benissimo entrambe le funzioni, ne spiega la ratio come una questione di trasparenza agli occhi dei cittadini. Prima però intende concentrarsi sulle misure per velocizzare i processi e con la semplificazione normativa, partendo – appunto – da “una profonda revisione dell’abuso d’ufficio per risolvere il problema della cosiddetta “amministrazione difensiva” restituendo tranquillità ai pubblici amministratori “che non se la sentono più di prendere decisioni”.
La dottrina Nordio riserverà molte sorprese positive: i pm non dovranno procedere per i casi che ritengono insussistenti (“Ci sarebbe un gran carico di lavoro in meno”), la richiesta di arresto formulata da un pm dovrà essere vagliata da un collegio di giudici, meglio se di una città diversa, “per evitare ogni tipo di contiguità”, e l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione conferirà un’impronta sempre più garantista alla nostra giustizia. Si volta finalmente pagina, insomma, per restituire la necessaria credibilità a un sistema giudiziario sfregiato dallo scandalo Palamara.