È lecito a un cardinale, come al sottoscritto cardinal de Retz, commentare quel che lo Spirito Santo ha deciso nella sua imperscrutabile sapienza? Se non è lecito a un cardinale lo è senz’altro alla vanità e alla prosopopea dell’uomo che sempre batte sotto le vesti color porpora. Leone XIV è un nome impegnativo, non solo per la lunghezza della serie, da Leone Magno a Leone XIII. Lo è per ciò che incarna il simbolo di quell’animale: maestoso e regale nel portamento, deciso a imporre il rispetto delle regole al branco su cui troneggia. Il card.Prevost ha attraversato un lungo tratto di strada in quella chiesa “periferica”, come la chiamava papa Francesco, a ridosso delle Ande peruviane. In quel Paese è stato missionario per un paio di decenni. Missionario e agostiniano, cioè nel mondo e nella realtà mai accomodante e scontata di questo tempo, con le regole di quel Sant’Agostino Padre sommo fra i Padri della Chiesa. Certo San Girolamo ci ha donato la traduzione del Vangelo dal greco e mettendolo in latino ne ha fatto dono alla civiltà romana. Sant’Agostino ha fatto di più, nelle sue opere. “Ti ho cercato per tutta la vita e in ogni luogo, Signore, ma eri dentro di me e non lo avevo capito”, è scritto nelle Confessioni, opera somma che può essere letta è apprezzata come una lunga preghiera. “Ti loderanno coloro che ti cercano, perché lodandoti ti troveranno e trovandoti ti loderanno”. Al suo tempo inquieto, attraversato dalla confusione e dallo smarrimento provocato dal germogliare di tante suggestioni spirituali, a partire da quel Manicheismo il cui fascino lo soggiogò per breve tempo, Sant’Agostino opponeva la bellezza della ricerca divorante Dio.
È ancora tempo di cercare Dio? E si può trovarlo bypassando la sua incarnazione, quel Gesù Cristo tanto contestato dall’arianesimo che ne avrebbe fatto volentieri un semplice profeta? No, non si può, è impossibile. E questo è il primo, arduo compito che attende papa Leone. Riportare la Chiesa nel mondo, farla camminare nel mondo senza renderla “del mondo”, attraverso la riscoperta di quell’autentico scandalo che è Gesù Cristo. Uno scandalo vivente, necessario e insostituibile per chiunque si sia messo in cammino sulle sue vie. Scandaloso quel Figlio Unigenito venuto sulla Terra per farsi umile, e facendosi umile essere innalzato da terra, cioè crocifisso, sublimando in quella sofferenza la sua grandezza regale. Papa Leone ha molte frecce nella sua faretra, ciò nonostante sa di non doverne sciupare neppure una.
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Ascoltandolo invocare la pace perché essa sia con tutti noi, chi, avendo anche un solo grammo di fede, non ha pensato in quel momento che la pace va cercata nel proprio cuore, ed essere condivisa con tutta la comunità? La dimensione comunitaria della preghiera ci appare, leggendo l’omelia nella celebrazione di ringraziamento ai cardinali, uno dei punti rilevanti nella pastorale di Leone. È nella preghiera comunitaria che si costruisce quel circuito virtuoso alimentato dall’Amore di Dio e in Dio, senza una gerarchia dei suoi destinatari. Amareggia e non poco leggere esegeti improvvisati che spiegano la concezione agostiniana dell’amore come una serie di cerchi concentrici, per cui si parte dall’amore per la propria casa e i propri famigliari per estenderlo poco alla volta a una platea sempre più vasta. Non so se il sig. J.D. Vance abbia davvero mai letto le Confessioni di Sant’Agostino o se ne ha letto qualche bignami per dire simili eresie. “Perché sei ancora qui? La fuori c’è tua madre e i tuoi fratelli”. “Mia Madre e i miei fratelli sono qui”, risponde il Signore mentre parlava a una folla radunata in casa. Mia madre e i miei fratelli sono ovunque perché la tenerezza dell’amore materno non può essere contenuta entro un limite umano. Perso più del tempo necessario per liquidare le parole sacrileghe di Vance, è giusto che ogni persona di fede – perché la possiede o perché vuole alimentarla o perché la sta cercando – si chieda dove attingere le energie indispensabili per viverla. Ma davvero servono energie? O non piuttosto l’abbandono fiducioso a Dio è la sola, autentica energia in grado di riscattarci dal pantano in cui trasciniamo le nostre esistenze?
Nutro personalmente grande fiducia nella capacità di papa Leone di portare la Chiesa dove essa si trova da sempre, cioè nel mondo e nei suoi travagli, in mezzo alle miserie e alle angosce di un tempo che si vorrebbe scandito dal peso delle ansie e delle inquietudini per ciò che non siamo e vorremmo essere, senza mai temere ciò che realmente siamo.
Ogni risposta è da cercare in Gesù, ci esorta il suo vicario. Di questo se ne occupa qualche organo di informazione, o si legge in qualche social? Niente di tutto ciò interessa a chi pure, per dovere professionale, dovrebbe interessare. Troppa fatica e poco piacere mentre con poca fatica e grande piacere si può strologare se questo pontificato sarà contro Trump o a favore del Terzo Mondo, se papa Leone si occuperà degli ultimi o anche dei penultimi. Insomma, la proiezione mondana del verbo di Cristo ci interessa molto più del Verbo in sé. Quasi che ogni singola pagina del Vangelo abbia un preciso destinatario e non tutta l’umanità. Il mio confessore, don Jorge Yiguerimian, amava mettere in guardia coloro che gli chiedevano di interpretare questo o quel passo del Vangelo. “Il Vangelo – ammoniva don Giorgio – non si interpreta. Si comprende, nel pieno senso latino del termine. Comprendere, cioè cum prendere, prendere con sé”. Ecco il tratto più lungo della strada che attende papa Leone.
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