Emmanuel Macron, è noto, ama abbandonarsi a pose napoleoniche quando è fuori dai confini dell’esagono. In patria non gli sarebbe consentito, vista la precaria sopravvivenza di una maggioranza di governo tenuta su con gli spilli dal pur abile Bayrou. E napoleonica è sembrata a molti l’improvvisata rivisitazione della dottrina nucleare francese allorché, la settimana scorsa, Macron annunciò che la Francia è disponibile a stendere la coperta della deterrenza nucleare fino alla Polonia di Donald Tusk.
Con una premessa, appunto, napoleonica: la potestà delle armi nucleari come la decisione sul loro uso rimangono una prerogativa del presidente francese. C’è più di una ragione per contestare una postura in cui confluisce un’antica arroganza insieme al mai sopito sogno della grandeur a lungo coltivata dal fondatore della Quinta Repubblica. Con la differenza, non marginale, che Charles De Gaulle aveva i titoli morali e biografici (era stato il capo militare e morale della Resistenza all’occupazione nazista) per parlare al mondo da un piedistallo: circostanze nient’affatto replicabili per Macron.
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Il contesto in cui opera Macron, fin dalla prima riunione, a marzo, del gruppo dei cosiddetti “volenterosi” riuniti con l’idea di mandare truppe dell’Unione europea a vigilare su un eventuale accordo di pace in Ucraina, è molto cambiato da allora. Per diverse (e non tutte nobili) ragioni.
Prima fra tutte l’ingresso di Donald Trump con il suo proposito di “forzare” i termini di un accordo, con le pressioni davvero umilianti su Zelensky perché rinunciasse a recuperare le quattro regioni occupate dalla Russia. I modi spicci e perfino brutali (incancellabile l’agguato teso a Zelensky alla Casa Bianca, a fine febbraio) hanno portato confusione sul piano diplomatico e di fatto messo in salita per l’Ucraina e per l’Unione europea ogni trattativa con Mosca.
Trump ha pensato in quel modo di agganciare Vladimir Putin a una trattativa costruita sul principio della reciproca convenienza. Il dittatore russo ha simulato interesse per un riconoscimento del suo ruolo a tal punto gratuito da sembrargli inverosimile. Da aggressore dell’Ucraina, da feroce sterminatore di civili, distruttore di ospedali, scuole, edifici pubblici, centrali elettriche, si è ritrovato all’improvviso nel ruolo di interlocutore credibile e affidabile grazie a Trump.
Il tutto accadeva mentre l’esercito russo continuava e continua mentre scrivo queste note, a compiere carneficine e orrori di ogni specie. Fino a quando, la settimana scorsa, Trump se ne è uscito con aria serafica ad ammettere di “sentirsi preso in giro” da Putin. Al punto da di cedere di dislocare i missili Patriot dalle alture del Golan, in Israele, a protezione di Kiev e dell’Ucraina.
Che cosa è successo per un ribaltamento tanto radicale di prospettiva? È successo che la “diplomazia retributiva” di Trump – Zelensky cede le terre rare e Trump continua a fornirgli armi – ha cambiato le carte in tavola. Non è arrivata la pace in 24 ore, come promesso in campagna elettorale, e non c’è nemmeno uno spiraglio verso la tregua. E qui torna in campo l’Unione europea.
Da Tirana, venerdì pomeriggio, Macron al telefono con Trump hanno concordato l’offerta di una tregua di 30 giorni rifiutando la quale Putin andrebbe sanzionato con nuove restrizioni. Di questo e non di altro si sarebbe parlato nel “formato” a quattro (Macron, Starmer, Merz e Tusk) e non dell’invio di armi come invece annunciato da una nota di Palazzo Chigi.
Che sia Macron a bluffare o che sia Meloni, il dato rilevante è un altro: davvero Macron può pensare di avere da solo la forza di isolare l’Italia, come si sostiene a palazzo Chigi? Da solo, Macron può avere la forza di isolare un Paese europeo che abbia l’obiettivo di essere isolato. Se il presidente francese lavora – come sostengono dal centrodestra italiano – per isolare l’Italia ma solo in funzione della politica interna francese, è vero anche che Meloni avrebbe un interesse analogo e opposto, cioè presentarsi come isolata in Europa per compiacere così l’antieuropeismo del suo peggior alleato, Salvini.
È un gioco di specchi riflessi quello in atto fra Roma e Parigi. Macron vuole isolare Marine Le Pen sulla scena nazionale e ritiene utile per questo obiettivo dimostrare che la destra italiana è ininfluente in Europa. Per converso, Meloni ha interesse a non fornire pretesti a Salvini e per questa ragione coltiva il contrasto con Macron togliendo armi polemiche a Salvini.
Non esiste un problema italiano, come sostengono le opposizioni centriste. Esiste, invece, una soluzione europea alle sfide poste dalle forze sovraniste e dai rigurgiti nazionalisti. Meloni sa che deve essere parte di quella soluzione per evitare di essere ritenuta un problema. Questo è il vero dilemma che si pone alla presidente del Consiglio. Rioccupare il posto che storicamente l’Italia occupa nella politica europea e, nello stesso tempo, neutralizzare l’antieuropeismo di Salvini. Il che comporta per Meloni di abbandonare quella “via di mezzo” fra Trump e l’Europa nella quale rischia di trovarsi più lontana dall’Europa senza essere più vicina a Trump.
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