Sui migranti si torna al punto di partenza in vista del Consiglio Affari Interni dell’8 giugno
La presidenza di turno svedese e la Commissione europea hanno lanciato ieri sera un altro siluro contro l’Italia sulla questione migranti: la redistribuzione obbligatoria non è sul tavolo della riforma del Patto di migrazione e asilo, almeno finché sarà la Svezia a tenere la presidenza di turno dell’Ue. L’annuncio è stato dato dalla ministra per la Migrazione di Stoccolma, Maria Stenergard, e quasi in tempo reale la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson lo ha definito “importante e tempestivo”. Poche ore prima era stato il governo polacco ad avvertire di non essere disposto ad accogliere nemmeno un migrante sbarcato in Italia o in Grecia.
Il cartello di Visegrad
Il cartello di Visegrad è sempre stato in prima linea contro i ricollocamenti, e la Polonia – dopo aver accolto milioni di profughi ucraini – ha le sue buone ragioni per opporsi ad altri arrivi, ma questo non può giustificare la posizione pilatesca dei vertici comunitari, che predicano l’equilibrio tra responsabilità e solidarietà ma poi lasciano sistematicamente soli i Paesi di primo ingresso, salvo poi protestare se questi non fermano i movimenti secondari dei migranti il cui desiderato approdo è il nord Europa.
Come in un grottesco gioco dell’oca, dunque, si torna al punto di partenza in vista del Consiglio Affari Interni dell’8 giugno – della presidenza di turno svedese. Uno stallo ben fotografato dalle inequivocabili dichiarazioni della ministra svedese: “Voglio essere chiara: la redistribuzione obbligatoria non era, non è e non sarà presente nella proposta. I Paesi di primo ingresso vanno sostenuti nell’importante lavoro di gestione delle frontiere esterne. La ricollocazione obbligatoria è fuori discussione”. Dunque, le attese del fronte meridionale, raggruppato nel club Med5, sono destinate a restare ancora una volta deluse.
Migranti: uno sguardo sull’Europa
Del resto, in tutti questi anni in Europa non c’è stato alcun progresso né sulla politica comune di asilo, né sulla riforma del Trattato di Dublino, né sui ricollocamenti, né sui rimpatri, e neppure sul controllo dei flussi nel Mediterraneo centrale. I patti di Malta, fra pochi Paesi e su base volontaria, si sono rivelati un fallimento, come il deludentissimo patto per le migrazioni presentato dalla Commissione europea. Non solo infatti i fondamenti di Dublino non sono mai stati scalfiti, con l’onere dell’accoglienza tutto sulle spalle dei Paesi di primo arrivo, ma il meccanismo dei rimpatri a cui avrebbe dovuto partecipare chi rifiutava i ricollocamenti non è mai stato di fatto attivato, e non poteva essere diversamente, visto che non erano previsti né obblighi né sanzioni.
Migranti: European asylum support office
Ma se anche si arrivasse alla relocation obbligatoria (ipotesi purtroppo dell’irrealtà) non tutti i richiedenti asilo potrebbero accedervi: secondo le norme vigenti possono infatti essere ricollocate in Europa solo le persone la cui nazionalità ha un tasso medio di riconoscimento di protezione internazionale superiore al 75%. La lista delle nazionalità viene aggiornata ogni tre mesi dall’Easo (European asylum support office), e dai Paesi terzi presi in considerazione per la relocation resta escluso chi fugge da guerre o da sanguinarie dittature, non tenendo evidentemente conto della reale composizione degli attuali flussi migratori verso l’Europa.
E’ inutile farsi illusioni, dunque: la solidarietà nella redistribuzione dei migranti è destinata a restare un miraggio per molto tempo ancora, e l’unica strada da percorrere è un ferreo controllo delle partenze, il ripristino dei canali legali di ingresso e un meccanismo di rimpatri che non sia interamente a carico dei Paesi di primo approdo.