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Nel Nuovo Mondo di Meloni c’è più Europa e meno America

Nel suo intervento alla Camera, la presidente del Consiglio prende le distanze dai bombardamenti americani in Iran, e ribadisce il no al nucleare di Teheran. Critica le “inaccettabili” azioni di Israele a Gaza. E, più importante di tutto, rilancia la necessità di una comune posizione dell’Unione europea per riaprire la strada del negoziato e avviare la de-escalation. Il Pd beccheggia, Conte lo sfida con una risoluzione allucinante in cui si propone di riallacciare i rapporti con l’Urss. I sovranisti? Ammutoliti dalle giravolte di Trump. Le opposizioni, lacerate, offrono uno spettacolo deprimente

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Pochi giorni, una notte di pesanti bombardamenti americani sui siti nucleari dell’Iran, e la geografia politica conosciuta fino a ieri appare un mondo remoto, perso nel tempo e nello spazio. Siamo entrati, anzi, precipitati nel Nuovo Mondo dominato dall’improvvisazione distruttiva di Donald Trump, dalla tenacia bellica di Bibi Netanyahu il quale un disegno politico ce l’ha anche se difficile – e pericolosissimo – da realizzare.

Nel Nuovo Mondo è entrata oggi Giorgia Meloni con un abile intervento alla Camera sulla guerra in Medio Oriente ma in generale su questa vorticosa stagione della politica estera in cui l’Italia cerca faticosamente di trovare la casella da occupare. Se non quella più redditizia, almeno la meno esposta e meno dannosa per gli interessi nazionali.

Nel Nuovo Mondo che si intravede oltre il tuono del cannone c’è più spazio per l’Europa e meno per l’America. Non lo ha capito Riccardo Magi, il leader di +Europa. Ha rimproverato alla presidente del Consiglio di non avere mai citato, neppure una sola volta, Donald Trump. Magi ha così sottovalutato l’unica vera novità nel discorso di Meloni: Trump ha smesso di essere un riferimento. Magi avrebbe dovuto notare un’altra assenza nel discorso di Meloni: il richiamo all’unità dell’Occidente. Meloni ha preso atto, sia pure in modo omissivo, che le due coordinate su cui aveva impostato la sua politica estera sono venute meno la notte del bombardamento sull’Iran.

Così l’onore della citazione Meloni lo ha riservato a due leader europei: Emmanuel Macron e Friedrich Merz. Sia pure per un tema diverso – l’automotive – il fatto che Meloni si sia rivolta a Macron (entrambi, come si sa, faticano a scambiarsi un sorriso che non sia glaciale) e a Merz, racconta di un aggiustamento di rotta rilevante nella bussola meloniana.

Per tornare al tema della guerra, la presidente del Consiglio ha sottolineato due punti ampiamente condivisi con l’Unione europea: a) l’Iran non ha il diritto di dotarsi di una bomba atomica, come le stesse autorità di quel Paese avevano accettato nello schema di accordo sottoscritto al tempo di Obama prima di essere cancellato dal primo mandato di Trump; b) l’Unione europea è fortemente impegnata per favorire una de-escalation nell’area mediorientale, senza la quale la situazione potrebbe finire fuori controllo con conseguente tragiche e imprevedibili.

Evocare l’impegno diplomatico significa anche riconoscere che esso è reso possibile soltanto se si è in possesso di una deterrenza militare credibile. Meloni ha preannunciato che al prossimo vertice Nato l’Italia accoglierà, insieme agli altri partner, l’impegno a innalzare la spesa per la difesa e la sicurezza al 5% del Pil. Non sono poche le incognite che accompagnano un simile impegno. La Germania, per dire, ha già chiesto l’attivazione della “clausola di salvaguardia” per portarsi oltre i limiti previsti dal Patto di Stabilità.

Berlino può farlo senza troppi patemi: il suo debito è attualmente il 72% del Pil e questo consente a Merz di disporre di margini fiscali molto ampi per soddisfare il piano di riarmo. Molto diversa è la situazione per Francia e Italia, due Paesi in forte sofferenza rispetto al Patto di Stabilità e perciò privi di spazio fiscale. Soltanto lo scorporo delle spese per la difesa dal Pil potrà consentire a entrambi di avere uno spazio fiscale sufficiente, ma con un debito aggiuntivo pur sempre da onorare da qui al prossimo decennio. L’Italia ha confermato – terzo punto di professione europeista – il proprio risoluto impegno a sostegno dell’Ucraina in pieno accordo con l’Unione europea.

Rispetto a una scena mondiale in rapida e imprevedibile evoluzione, solcata da scontri di cui è difficile intravvedere l’esito, le opposizioni parlamentari si presentano profondamente divise. Perché da un lato si tenta, come fa il Pd, di rilanciare la palla all’Europa invocando un piano di riarmo europeo e non delle singole nazioni. Dall’altro, il M5S, impegnato a estremizzare la linea per creare difficoltà a Schlein, arriva alla proposta sfacciatamente cinica di bocciare ogni ipotesi di riarmo fino a ipotizzare una ripresa delle forniture di gas dalla Russia.

Il Pd ha già annunciato un voto di astensione sulle mozioni delle altre opposizioni e su quella del governo. Il che fotografa una situazione a dir poco deprimente del fronte delle opposizioni. Prive di una bussola, toccano il massimo della incomunicabilità su un terreno – la politica estera – che è il fondamento di ogni coalizione politica con ambizioni di governo.

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