Meloni e Macron, due naviganti alla sfida delle colonne d’Ercole

Ha detto il presidente Mattarella, incontrando il governo alla vigilia del Consiglio europeo: “Non si può prescindere dall’Italia”. Non è difficile leggere il sottotesto: neppure l’Italia può prescindere dall’Europa. L’intervento di Meloni alla Camera è stato in apparenza aggressivo, nella realtà è stato un discorso preoccupato di smussare asprezze nel rapporto con l’Europa dove la premier non vede “amici o nemici, ma solo interlocutori”. A Parigi, Macron affronta la scommessa temeraria: al voto in Francia, con l’obiettivo di isolare Le Pen in Europa. Con l’aiuto indiretto di Meloni

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Tenere insieme tutto: il gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo; un portafoglio di peso per l’Italia; il risarcimento d’immagine per le nomine decise senza Roma; e far valere il risultato elettorale della maggioranza in Italia. Messa così è un’operazione che va oltre ogni complicazione per entrare nella categoria dell’impossibilità. Non era semplice il passaggio parlamentare a cui era attesa la presidente Meloni, alla vigilia del Consiglio europeo del 27-28 giugno. Il governo italiano arriverà a Bruxelles trovando già occupate le caselle cosiddette del top jobs, cioè le posizioni apicali e dunque politicamente decisive.

Due ai popolari (Ursula von der Leyen confermata alla Commissione, la maltese Roberta Metsola al Parlamento di Strasburgo); una ai socialisti (il portoghese Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo); una ai liberali (la premier estone Kaja Kallas, Alto rappresentante Ue per la politica estera). Il Consiglio europeo voterà domani queste nomine decise nelle interlocuzioni fra i premier popolari, liberali e socialisti, con esclusione dell’Italia e della Repubblica Ceca. Per l’approvazione è necessaria una maggioranza qualificata (il sì di almeno 15 Paesi in rappresentanza del 65% della popolazione) o, su richiesta, una maggioranza “rafforzata” (il sì di almeno 20 Paesi sempre in rappresentanza del 65% della popolazione).

Che cosa deciderà Giorgia Meloni? Escluso, per ragioni minime di opportunità, il voto contrario, resta da capire se l’Italia deciderà, per la prima volta nella sua storia europea, un voto di astensione sulle nomine apicali. Sarebbe, certamente una prima volta clamorosa con conseguenze al momento difficili da valutare, nella loro dimensione europea ma anche domestica. Le nomine del Consiglio europeo dovranno passare poi al vaglio del Parlamento per la ratifica, come prevedono i Trattati dell’Unione. Ppe, S&D e Renew dispongono di 406 voti a Strasburgo, mentre la maggioranza richiesta è di 361.

Il margine di sicurezza sembra ampio sulla carta, nella realtà lo è molto meno poiché per tradizione ci sono sempre piccole pattuglie di franchi tiratori formate da quei Paesi che si ritengono ingiustamente puniti dalle nomine. I voti del gruppo dei Conservatori potrebbero essere decisivi. Come ottenerli? Negoziando con tutto il gruppo oppure con quella parte formata da Fratelli d’Italia e dunque dall’unica premier tagliata fuori dalle decisioni? Meloni potrebbe mai accettare di rompere il gruppo per rientrare in gioco?

 La questione, a ben vedere, ha riflessi di non poco conto anche sugli equilibri nella maggioranza in Italia. In assenza di un accordo e in presenza di un voto di astensione domani, nel Parlamento europeo è impossibile per i parlamentari di Forza Italia votare contro le nomine. Con il risultato di avere la maggioranza di Roma che si divide a Bruxelles. Il solo a non avere problemi è Matteo Salvini avendo scelto per sé la posizione estremista e radicale, e voterà contro le nomine.

 Al Parlamento europeo, una volta trovato l’accordo, Meloni verrebbe a trovarsi nella condizione di votare insieme a socialisti e liberali, ipotesi da lei sempre esclusa in campagna elettorale. Poco male, si dirà, visto che molte cose erano state escluse prima del voto del 25 settembre 2022, salvo essere via via accettate. Di cammino, in questi due anni, ne è stato fatto. Quando si cala nel ruolo della vittima (ruolo, va riconosciuto, in cui è insuperabile) Giorgia Meloni lo fa per alzare le difese verso gli avversari, o, più spesso, per aggiustare la strategia su una certa questione se non proprio la linea politica. A lei serve tempo, e un voto di astensione al Consiglio europeo potrebbe consentirle di acquistare tempo per preparare una svolta politica in vista della ratifica parlamentare.

Chi, invece, il tempo deve bruciarlo come la fiamma ossidrica l’ossigeno è Emanuel Macron. Il presidente francese, che è capo dell’esecutivo, ha fretta di chiudere le nomine europee prima delle elezioni nel suo Paese. I sondaggi danno in vantaggio netto l’estrema destra di Marine Le Pen e il suo giovane scudiero, Jean Bardella, candidato alla guida del governo. Il doppio turno è un’arma micidiale, e ben lo sa Le Pen sempre respinta nei suoi assalti all’Eliseo. Sempre a una spanna da Macron al primo turno, al secondo veniva completamente ribaltato il risultato quando scatta quell’esprit républicain in base al quale gli avversari del primo turno si coalizzano contro la destra estrema.

Questa volta si vota per il Parlamento e non per il presidente della Repubblica, è vero. Ma cosa potrebbe impedire a Renew Europe, socialisti e mélanchonisti di attuare la desistenza in un centinaio di collegi per coalizzarsi contro il candidato di Le Pen nei ballottaggi? Le Pen dovrà raccogliere quanti più parlamentari al primo turno se vuole evitare di essere travolta nei ballottaggi. Per quanto da un populista come Mélanchon c’è da attendersi ogni spregiudicatezza, come votare per Le Pen al ballottaggio pur di sconfiggere l’odiato Macron.

Il voto francese è, sotto molti aspetti, più importante di quello europeo dello scorso 8-9 giugno. Una vittoria della destra potrà essere gestita sul piano interno da Macron, ma la sua eco politica sul piano internazionale sarebbe clamorosa. E questo diventa, paradossalmente, un altro inciampo nel percorso della Meloni verso l’ortodossia europea. Perché entrare nella cabina di regia a Bruxelles lasciandosi alle spalle la vasta platea delle destre antieuropeiste e sovraniste significa esporsi a indesiderati contraccolpi politici. Per lei e per Macron, cortesi nemici, il Consiglio europeo di domani e venerdì è un po’ come varcare le colonne d’Ercole per addentrarsi in un mare di incognite.

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