Non poteva essere più traumatico l’ingresso nel nuovo mondo, nella giungla inesplorata e ricca di insidie dove si è smarrita la forza del diritto sostituita dal diritto della forza come elemento fondante nelle relazioni internazionali. È la prima conseguenza della stagione di Donald Trump, aperta all’insegna dell’indifferenza per le turbolenze geopolitiche sulle quali gli Usa intervengono secondo una logica della convenienza, una logica puramente retributiva: si interviene se c’è un margine di interesse per l’America, altrimenti si lasciano gli eventi al loro corso, nella più completa indifferenza.
Bibi Netanyhau ha colto questa improvvisa finestra strategica che si è aperta per Israele e vuole approfittarne per tentare la spallata finale al regime teocratico che terrorizza l’Iran e minaccia l’intera area mediorientale. Gli strike portati dall’aviazione fra il 12 e il 13 giugno hanno decapitato la Guardia Rivoluzionaria nazionale, ucciso il vice comandante supremo della Difesa e distrutti o resi inagibili almeno 10 siti nei quali l’Iran lavorava all’arricchimento dell’uranio.
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Israele ha così deciso di colpire al cuore l’assedio in cui è costretto a vivere dal 1979, da quando cioè Reza Pahlavi lasciò la Persia con il rientro di Khomeini. La nascita dello Stato islamico, e l’inserimento nella nuova Costituzione di un articolo che prevede la distruzione di Israele cambiò per sempre gli equilibri nella regione.
I mutati rapporti di forza non impedirono alla diplomazia di esercitare un ruolo di equilibrio e di controllo delle ricorrenti tensioni fra il nuovo Stato islamico e Israele. Barack Obama riuscì a intavolare un primo negoziato con Rafsanjani nel 2008 e il “quartetto” (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania) trovò la strada per rallentare la corsa iraniana all’atomica. Tutto sembrava congiurare verso un progressivo appeasement nell’area fino a quando, nel 2016, l’arrivo di Trump alla Casa Bianca rispedì in alto mare il poco che era stato costruito dal suo predecessore.
La dead-line che ha cambiato gli equilibri nel Medio Oriente data 7 ottobre 2023. Dopo l’aggressione genocidaria di Hamas e il massacro di oltre 1500 ebrei i cui corpi sono stati mutilati in modi disumani, il governo Netanyhau ha rotto gli indugi. Si dice per allontanare i tribunali israeliani dove lo attendono processi per corruzione, appropriazione indebita e altri reati. E può starci. Ma gli orrori perpetrati da Hamas quel giorno e nei giorni successivi non potevano rimanere senza risposta, chiunque fosse stato premier.
La reazione è stata chirurgica sulle prime, per diventare in seguito un vero e proprio bagno di sangue che ha travolto migliaia di civili palestinesi. La strage di palestinesi per snidare i miliziani di Hamas ha suscitato sdegno e orrore nel mondo, ma non ha impedito a Netanyahu di portare fino in fondo il piano di istruzione dei terroristi. Nello stesso tempo terminava l’opera di neutralizzazione dei miliziani Hezbollah, nel sud Libano. In questo caso, Israele ha avuto il supporto pieno del governo libanese.
Hamas, Hezbollah, Houti dello Yemen del Nord: tre fronti di guerra contro cui Israele si trova a combattere da alcuni anni. Tre fronti armati e foraggiati dalla dittatura teocratica dell’Iran. Fino alla notte fra il 12 e il 13 giugno quando Netanyahu ha deciso che andava aggredita la testa del serpente che vuole stritolare la democrazia israeliana. Che cosa dobbiamo aspettarci dall’attuale stato di guerra?
Gli analisti sono confusi dalla rapidità degli eventi e dai capovolgimenti di fronte. Tutti concordano su un punto: l’attuale regime iraniano è molto indebolito rispetto a qualche tempo fa. I suoi proxy, cioè Hamas, Hezbollah e Houti sono stati neutralizzati mentre all’interno dell’Iran trova nuovo coraggio il movimento “Donne, vita e libertà”, un fronte ampio di resistenza civile quale non si era mai visto prima.
Il crollo del regime islamico non è però una questione di ore, come può immaginare qualche ottimista. Neppure però sembra troppo lontano. Se i bombardamenti di Israele volevano essere un monito per far tornare gli ayatollah al tavolo negoziale con gli Stati Uniti, non sappiamo ancora se sia andato a buon fine. Se i negoziatori iraniani non si faranno vivi in Oman, è presumibile che l’aviazione israeliana torni a sorvolare il cielo sopra Teheran per terminare l’opera. Sono giorni, ore decisive che tengono il mondo con il fiato sospeso.
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