Su quel passaggio drammatico nella storia della Repubblica continuano a gravare molte ombre. Come le rivelazioni del Wall Street Journal sulle pressioni che la Cancelliera Merkel avrebbe fatto per la defenestrazione del cavaliere da premier, che non sono mai state smentite
12 novembre 2011, ore 21,42, Palazzo del Quirinale: Silvio Berlusconi ha rassegnato le dimissioni da presidente del consiglio nelle mani del capo dello Stato, Giorgio Napolitano: un atto formale che negli auspici degli avversari avrebbe dovuto segnare la fine del berlusconismo, ipotesi poi smentita dalla realtà, ma che pose effettivamente fine all’esperienza governativa più longeva dal secondo dopoguerra (1284 giorni). Da quella sera, Berlusconi non tornò mai più alla guida del governo. Quattro giorni prima la Camera aveva approvato il Rendiconto generale dello Stato con 308 voti a favore, numero inferiore alla maggioranza assoluta di 316, ma il presidente del consiglio non aveva alcun obbligo formale di dimettersi, perché l’opposizione continuava ad avere meno voti della maggioranza, ma il Quirinale mostrò subito il pollice verso, e Berlusconi ne prese responsabilmente atto. Su quel passaggio drammatico nella storia della Repubblica continuano a gravare molte ombre, e ora che Berlusconi è morto tornano alla mente un sacco di cattivi pensieri. Come, ad esempio, le rivelazioni del Wall Street Journal sulle pressioni che la Cancelliera Merkel avrebbe fatto per la defenestrazione del cavaliere da premier, che non sono mai state smentite.
In quei mesi torbidi e per molti versi oscuri del 2011 ci fu infatti una terribile pressione politica e psicologica che indusse Berlusconi a dimettersi nonostante che il Parlamento non lo avesse mai sfiduciato, perché il leader del centrodestra venne sistematicamente individuato, con una sapiente disinformazione interna e internazionale, come l’ombelico di tutti i i mali del mondo. Poi gli italiani si accorsero, quasi in tempo reale, che non era lui, ad esempio, la causa dello spread fuori controllo.
Berlusconi assicurò, in un’intervista al Tg5, di essersi dimesso solo per senso dello Stato e per una questione di responsabilità nei confronti degli italiani. Ma i dubbi restarono intatti, e non sono mai stati fugati. I continui contatti tra il Colle e il capo di Stato tedesco, gli attacchi dei media internazionali, la speculazione che mise in ginocchio Piazza Affari e il gioco di sponda fatto dall’opposizione in Parlamento, nonché lo strano pranzo a Berlino di due alti esponenti politici italiani proprio nel giorno delle dimissioni… Erano e restano tutti indizi che portano acqua alla tesi del complotto. Tanto che la Lega propose l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta per “ricostruire realmente i fatti e gli accadimenti che portarono alla fine del governo e alle dimissioni di Berlusconi”.
Del resto, le rivelazioni del Wall Street Journal ricostruirono perfettamente il clima di quelle settimane convulse, che portarono all’annientamento della volontà popolare e a un governo tecnico che fu classificato come una sospensione della democrazia. Erano i giorni dello spread ai massimi livelli, dell’Unione europea che entrava a gamba tesa sul governo perché approvasse una nuova manovra economica e della sinistra che – con i transfughi finiani – alle Camere brigava per far mancare la maggioranza al governo. Erano anche i giorni in cui testate come l’Economist, il Times e il Financial Times invitavano un giorno sì e l’altro pure Berlusconi a lasciare la presidenza del consiglio. Insomma: nel secondo semestre del 2011 accaddero fatti decisamente strani: consultazioni continue al Quirinale con i gruppi parlamentari nonostante che il governo fosse pienamente in carica con la fiducia di entrambe le Camere, le lettere e i richiami della Bce e della Commissione europea scritti in tutta evidenza da manine italiane, l’attacco speculativo ai titoli Mediaset, le risatine compiaciute di Merkel e Sarkozy diffuse e amplificate dai media italiani.
Non solo: nel mese di maggio 2011 Bankitalia, nelle considerazioni finali, aveva definito “prudente e appropriata” la gestione della crisi da parte del governo, giudizio condiviso anche dal vertice europeo di luglio, ma una settimana dopo arrivò la famosa lettera della Bce che ordinava all’Italia di varare, per decreto, una manovra bis da 65 miliardi che si sommava a quella da 80 miliardi decisa appena un mese prima. Tutto torna, insomma: ci fu una trama internazionale per far cadere il governo italiano, tesi peraltro autorevolmente confermata dall’ex segretario al Tesoro americano Tim Geithner, che nel suo libro di memorie raccontò di quando “alcuni funzionari europei” chiesero senza successo all’amministrazione Obama di impegnarsi per far uscire Berlusconi di scena.
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