Il cuore d’Europa in fiamme: la situazione in Kosovo mentre l’Europa cerca una mediazione
Lo spettro di un secondo conflitto nel cuore dell’Europa si sta materializzando con le tensioni in Kosovo che hanno ormai superato il livello di guardia dopo gli attacchi della minoranza serba alle forze di interposizione della Nato nel nord del Paese. La miccia è stata l’elezione di alcuni sindaci rappresentanti della minoranza albanese.
La mediazione Ue
L’Unione europea sta cercando di correre ai ripari, e l’Alto rappresentante per la Politica estera, Josep Borrell, ha incontrato a Bratislava il premier kosovaro Kurti dicendogli che la situazione attuale “è pericolosa e insostenibile. Abbiamo bisogno di una de-escalation urgente e di una soluzione attraverso il dialogo per tornare al nostro lavoro sull’attuazione dell’accordo raggiunto”. Kurti gli ha replicato che gli attacchi della milizia serba alla polizia, alla Kfor e ai giornalisti sono inaccettabili, e che “il percorso da seguire è radicato nella democrazia, nello stato di diritto e nell’attuazione completa e rapida dell’Accordo di base”.
Ma un compromesso sembra lontano, anche perché Mosca sta soffiando sul fuoco sostenendo che in Serbia si starebbe preparando un golpe contro il presidente filorusso Vucic come avvenne nel 2014 in Ucraina con la rivolta di Maidan e la destituzione di Yanukovic. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha ribadito che “tutti i diritti legali e gli interessi dei serbi del Kosovo devono essere rispettati: sosteniamo la Serbia e i serbi senza dubbio”, mettendo in guardia dalle “azioni provocatorie che potrebbero ledere i diritti dei serbi”. E la Cina è sulla stessa posizione.
La situazione a Belgrado
A Belgrado, intanto, durante la protesta organizzata dal Movimento per la difesa del Kosovo e dalla Gioventù serba, i manifestanti hanno chiesto al governo di “proteggere il popolo serbo in Kosovo o di dare le dimissioni”. Sono anche riecheggiati i vecchi slogan come “il Kosovo è il cuore della Serbia”, “Viva la Russia” accompagnati da fischi e insulti contro la Nato. “I nostri nemici sono i Paesi della Nato, il nostro nemico è il regime terrorista di Kurti e i suoi sindaci”, ha detto lo storico ultranazionalista Kovic, chiedendo la fine dei negoziati sotto l’egida dell’Unione europea e ribadendo il rifiuto totale dell’accordo franco-tedesco sul Kosovo.
Le radici di questo fortissimo sentimento nazionale serbo risalgono alla battaglia della Piana dei Merli (nel Kosovo) del 28 giugno 1389 fra l’Impero serbo e il Regno di Bosnia da una parte e i turchi ottomani dall’altra. Vinsero i turchi, che uccisero il principe serbo Lazar e quasi tutta la nobiltà nazionale annettendo buona parte del regno.
I nazionalisti
Per i nazionalisti, il 1389 è diventato il simbolo dell’identità del popolo serbo e il Kosovo è considerato parte integrante della terra natale, e quindi irrinunciabile. L’anniversario di quella storica battaglia viene ancora oggi ricordato ogni anno con cerimonie solenni e molto sentite dal popolo.
Dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia, il presidente serbo Milosevic si mise a capo della cosiddetta “terza riscossa serba” nel nome di un neo-nazionalismo culminato nella pulizia etnica contro le minoranze che doveva portare alla costituzione di una grande Serbia allargata a buona parte della Bosnia.
L’intervento della Nato pose fine alla guerra e Milosevic fu condannato dal tribunale dell’Aja, ma le tensioni sono rimaste, e in Serbia non si è mai sopita l’avversione all’indipendenza unilaterale proclamata dal Kosovo nel 2008 e riconosciuta da 22 paesi Ue e da 69 Paesi Onu. La pace finora è stata assicurata dalla presenza delle forze Nato, ma gli ultimi avvenimenti fanno temere il peggio, anche perché il quadro geopolitico è profondamente cambiato dopo l’invasione russa dell’Ucraina.