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Il Difforme > Editoriali e commenti > Khartoum, evitiamo una seconda Kabul: ecco perché evacuare in uno scenario simile è pericoloso
Editoriali e commenti

Khartoum, evitiamo una seconda Kabul: ecco perché evacuare in uno scenario simile è pericoloso

Massimo Colonna 23 Aprile 2023 10:13
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7 Min di lettura
il difforme farnesina esteri
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Non bisogna dimenticare la terribile esperienza vissuta recentemente dalla comunità internazionale quando ci si è trovati nella condizione di dover evacuare quanta più gente possibile, in pochissimo tempo, dalla capitale afgana

Da giorni arrivano notizie drammatiche dalla capitale del Sudan, relative a scontri armati che vedono fronteggiarsi da un lato l’esercito “lealista” e dall’altro le milizie dell’Rsf. Si combatte aspramente nella capitale e malgrado i tre giorni di tregua concordata, non sembrano esserci spiragli per un vero e proprio cessate il fuoco. Le vittime degli scontri sarebbero già più di 400 e fra di loro un cittadino americano.

Indice
Non bisogna dimenticare la terribile esperienza vissuta recentemente dalla comunità internazionale quando ci si è trovati nella condizione di dover evacuare quanta più gente possibile, in pochissimo tempo, dalla capitale afganaLe condizioni inizialiQuanto contano le attività di intelligence L’esperienza recente di Kabul

Le cancellerie di tutti i paesi occidentali e non solo quelle, stanno pianificando possibili operazioni di evacuazione dei propri cittadini ed è di queste ore la dichiarazione da parte di esponenti di rango della UE, riguardo allo studio di una azione di recupero sul terreno dei cittadini comunitari presenti nella capitale. Proviamo quindi a cercare di capire in cosa consista una operazione militare di evacuazione da una “area non permissiva” e da uno scenario di crisi.

Le condizioni iniziali

Intanto, mi sento di fare una necessaria premessa. L’evacuazione di emergenza è e deve essere sempre pianificata per tempo. Non si può immaginare di dover correre ai ripari “inventando” soluzioni al momento del bisogno, perché questo approccio “situazionale” è garanzia di scarsa performance. Monitorare la presenza degli espatriati, conoscerne l’esatta ubicazione, poter comunicare in maniera sicura ed istantanea, individuare azioni di risposta per livelli di attivazione, sono pre-requisiti irrinunciabili. Chi scrive ha preparato e realizzato evacuazioni di emergenza ed il caso vuole che proprio in Sudan, nel 2006, si sia dovuto occupare di aggiornare il Piano di Evacuazione dalla regione del Darfur e dalle città di Nyala e Kassala dedicato i nostri connazionali presenti in quelle aree e depositato in ambasciata a Khartoum.

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Esistono una quantità di problemi da risolvere allorquando si rende necessaria la scelta di entrare in un paese sovrano, con proprie forze armate, per permettere l’evacuazione di propri cittadini. Anzitutto la macchina organizzativa da avviare è complessa perché per poter rendere efficace una azione di questo genere, bisogna individuare un “punto di entrata e di uscita” nel e dal paese, nel quale far confluire le forze che effettueranno l’azione di recupero ed estrazione del personale da evacuare e questo punto non può che essere un aeroporto od una zona analoga, luogo questo che per quanto attiene allo scenario di Khartoum, è al centro di scontri con azioni di assalto ad aeromobili ed infrastrutture già in atto da giorni. Nel tal caso, per poter operare in una cornice di sicurezza bisognerebbe necessariamente trovare un accordo con chi lo occupa, oppure prenderlo combattendo, la qual cosa implicherebbe possibili perdite.

Per poter evacuare in sicurezza gli espatriati da quel paese, c’è bisogno di conoscerne l’esatta distribuzione sul terreno oltre che di disporre di mezzi quali elicotteri armati, da trasporto ed automezzi idonei a muoversi in un contesto come quello del quale si parla.

Esistono poi problemi relativi al posizionamento del personale da estrarre, alle comunicazioni che è necessario poter stabilire regolarmente con chi si deve porre in salvo ed alla individuazione di un punto di ricovero sicuro, nel quale far confluire il personale da evacuare per raccoglierlo in attesa dell’arrivo dei mezzi atti a realizzare l’uscita dalla zona di maggiore criticità, se non dal paese.

L’evacuazione di sicurezza da un’area critica, è sempre una operazione complessa che implica dei rischi concreti per chi la deve realizzare oltre che per chi deve essere posto in salvo. In linea generale, si preferisce utilizzare per quanto attiene alla aliquota che operativamente la deve condurre, dei Reparti d’Elité oltre che delle aliquote e dei distaccamenti di Forze Speciali. Il dispositivo da approntare deve avere caratteristiche “combat” molto spiccate ed essere in grado di affrontare e risolvere qualsiasi tipo di minaccia in qualsivoglia tipologia di terreno e deve essere supportato da una macchina organizzativa, operativa e logistica davvero molto performante.

Quanto contano le attività di intelligence 

Le attività di intelligence necessarie alla preparazione ed alla realizzazione di una operazione di questo genere sono fondamentali per comprendere le criticità, per valutare le forze sul terreno ed il loro dispiegamento e per poter disporre di risorse locali da utilizzare sia in fase di acquisizione di informazioni che di realizzazione dell’evacuazione.

Si è sentito più volte ripetere in queste ultime ore, come accennato in precedenza, della volontà della Unione Europea di predisporre una forza militare in grado di evacuare i cittadini comunitari dalla capitale sudanese e personalmente credo che anche in questo caso, non si possa non riflettere sulla assenza di una compagine di Forza Armata europea che dovrebbe difendere gli interessi del continente e degli alleati. Con quale esercito ci si propone di effettuare un’operazione di questo genere?

L’esperienza recente di Kabul

In ultimo, non bisogna dimenticare la terribile esperienza vissuta recentemente dalla comunità internazionale allorché ci si è trovati nella condizione di dover evacuare quanta più gente possibile, in pochissimo tempo, da Kabul. L’incubo, perché non lo si può definire in nessun altro modo, vissuto dalle persone in fuga e dagli apparati chiamati a realizzare quella evacuazione, tiene ancora svegli gli apparati di sicurezza di molti paesi e di altrettante cancellerie e credo che quella esperienza abbia molto da insegnare e da temere per chi è chiamato alla realizzazione di un progetto analogo in Sudan in queste ore.

© Riproduzione riservata

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