Che sia necessaria una svolta lo dimostra il fatto che dall’inizio dell’anno sono già sbarcati in Italia più di 80 mila migranti, e a fine anno potrebbero diventare il triplo: questo è lo scenario, e il governo italiano- preso atto che la relocation in Europa è un’equazione praticamente impossibile – si è concentrato sull’unica soluzione realistica: bloccare le partenze illegali e ampliare i numeri del decreto flussi (452mila ingressi in tre anni). Inoltre, sulla lotta agli scafisti e sulla necessità di coinvolgere i Paesi di partenza e di transito la premier è riuscita a convincere la Commissione europea e a far sottoscrivere, dopo un paziente lavoro diplomatico, il memorandum Ue-Tunisia che prevede tra gli altri punti un coordinamento comune delle operazioni Search and Rescue per le quali Bruxelles ha stanziato cento milioni di euro. Un partenariato-modello da estendere ad altri Stati nordafricani, ma che è stato subito bocciato dalla sinistra, e in particolare dal Pd, che resta fermo sul mantra dell’accoglienza indiscriminata.
Ma sulla questione migratoria deve prevalere un approccio realistico: se l’epicentro della crisi adesso è la Tunisia, è lì che bisogna concentrare gli sforzi, e l’unica strada percorribile è trattare col presidente Saied, anche se non è un campione di diritti umani. Neppure Erdogan lo era, ma l’Ue concordò ugualmente con lui il blocco delle frontiere e la restituzione alla Turchia di chi aveva varcato la frontiera greca: allora prevalse insomma la realpolitik di un’Europa divisa che scelse di delegare la gestione dei profughi siriani a Erdogan pur sapendo che il sistema d’asilo turco non soddisfaceva nessuno dei requisiti umanitari previsti dal diritto internazionale. E non basta: prendendo ad esempio quell’accordo, la Commissione propose di riprodurre la stessa collaborazione con i principali Paesi Africani, fra cui compariva anche il Sudan – terra di origine ma soprattutto di transito dei rifugiati del Corno d’Africa – trattando con uno spietato dittatore africano, al-Bashir, sulla cui testa pendeva un mandato d’arresto della Corte penale internazionale con le accuse di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio per il conflitto in Darfur. Ma l’Ue lo “premiò” con 200 milioni di euro per scongiurare nuove migrazioni.
Dunque, l’accordo con Saied, discusso presidente che comunque guida l’unica fragile democrazia rimasta in piedi dopo le disastrose primavere arabe, non va quindi considerato uno scandalo, ma un passo necessario, che potrebbe fare da apripista ad altri partenariati. E’ con questo spirito che Meloni ha fortemente voluto la Conferenza di Roma: nessuno si illude che la soluzione sia dietro l’angolo, ma quello di oggi è l’inizio di un percorso obbligato, piaccia o no alle sinistre e alle Ong.