Sui temi sociali l’avvocato del popolo è stato scavalcato dalla Schlein: l’unico terreno su cui metterla in difficoltà è inevitabilmente la guerra in Ucraina. Perché la segretaria Dem sulle armi la pensa quasi come lui ma ha le mani legate, non potendo ribaltare all’improvviso la linea atlantista tracciata dal suo predecessore
Conte ne ha dette di tutti i colori alla premier nel suo intervento alla Camera alla vigilia del Consiglio europeo: faccia di bronzo, patriota d’accatto, brutta copia di Draghi eccetera, accusandola, in quanto fautrice dell’invio di armi all’Ucraina, di voler togliere il pane agli italiani. Un’escalation di accuse scagliate con una violenza verbale molto poco pacifista da chi ha fatto del pacifismo la sua nuova frontiera politica. In realtà l’avvocato del popolo parlava a nuora (Meloni) perché suocera (il Pd) intendesse, per segnare un punto a proprio favore nella competizione che si è aperta con Elly Schlein per la leadership della sinistra. Conte aveva scelto tre target precisi per il recupero dei consensi grillini sperperati nel giro di una legislatura: la difesa a oltranza del reddito di cittadinanza, fino a minacciare la guerra civile se il nuovo governo avesse osato toccarlo, i bonus a pioggia accompagnati dalla parola magica “gratuitamente” e, appunto, il pacifismo senza se e senza ma. Sui temi sociali, però, è stato scavalcato dalla nuova segretaria dem, cosa che ha provocato un travaso di consensi tra Movimento e Pd, e dunque l’unico terreno su cui metterla in difficoltà era inevitabilmente la guerra in Ucraina. Perché Schlein sulle armi la pensa quasi come lui ma ha le mani legate, non potendo ribaltare all’improvviso la linea atlantista tracciata dal suo predecessore, col rischio di spaccare il partito.
Cosa non torna sulla linea di Conte
Conte ha dimostrato di essere un giocatore spregiudicato nei Palazzi del potere, non a caso è stato l’unico premier a guidare due governi di colore opposto, ma la sua attuale postura ultrapacifista confligge fragorosamente con la sua breve storia politica: basta ricordare che il suo Movimento un anno fa votò la risoluzione che autorizzava l’invio di armi all’Ucraina, con l’annesso ordine del giorno che impegnava il governo ad aumentare le spese militari fino al 2% del Pil. E’ vero che poi è stato una costante spina nel fianco di Draghi con la scusa che l’aumento delle spese militari non faceva parte del patto fondativo del governo, ma è altrettanto vero che il Conte premier tenne una linea opposta al Conte leader grillino: nel 2019 infatti, in occasione del settantesimo anniversario di fondazione della Nato, sottoscrisse senza batter ciglio la richiesta di Trump agli alleati di aumentare gli investimenti per la Difesa e l’anno successivo, quando era a capo del governo col Pd, nonostante i maxi scostamenti di bilancio per fronteggiare gli effetti della pandemia, la spesa militare italiana aumentò di quasi un miliardo e mezzo (da 21,5 miliardi a 23,1). Ma non basta: fu infatti il secondo governo Conte a porre le basi per affiancare al bilancio ordinario della Difesa un fondo di investimenti pluriennale in cui far confluire le risorse sparpagliate tra diversi ministeri, misura poi confluita nella legge di bilancio 2021 che i Cinque Stelle votarono senza fare obiezioni.
E’ guerra e pace in salsa grillina
Insomma: il trasformista Conte è passato disinvoltamente dall’indossare l’elmetto per compiacere Trump sui fondi Nato al diktat pacifista per pretendere da Draghi più gradualità nel rispetto degli impegni con gli alleati dopo averli lui per primo sottoscritti, nella convinzione che la propaganda è una merce che rende molto più della coerenza. Per cui non sorprende che sull’approvazione dei nuovi programmi d’arma sia insorto denunciando “un evidente favore a qualche lobby”, scrivendo un’altra surreale pagina della “guerra e pace” in salsa grillina in cui si può trovare tutto e il contrario di tutto: dalla sciagurata adesione alla Via della Seta alla teorizzazione dell’equidistanza tra Washington e Pechino, dalla visita all’ambasciata americana per ribadire il “costante sostegno all’Ucraina” al no pronunciato nelle stesse ore agli investimenti nel settore della Difesa. Ora ha portato il Movimento in prima linea a sostenere l’ipocrisia pacifista, quella che nasconde la verità dei fatti descrivendo la guerra in atto come uno scontro tra opposte volontà violente, senza mai distinguere tra il carnefice (Putin) e le vittime (gli ucraini), annullando ogni differenza tra aggressori e aggrediti, tra invasori e resistenti, tra chi si macchia di crimini di guerra i civili e chi li subisce, intimando di fermarsi all’Occidente e non al Cremlino, in uno sconcertante ribaltamento di ruoli e responsabilità. E’ l’insopportabile equilibrismo di chi sostiene a parole di stare dalla parte dell’Ucraina ma si dice contrario alla “corsa al riarmo” in nome di una pace che favorirebbe solo le mire imperialiste di Putin. Perché volere la pace privando Kiev del sostegno occidentale significa non chiedere la pace, ma semplicemente la resa, con un immondo colpo di spugna su mesi di atrocità, stupri, torture e fosse comuni. Il trionfo di conformismo, qualunquismo e retorica della pace senza spirito critico, un approccio che ha sempre fatto facili proseliti calpestando le lezioni della storia e mobilitando quel diffuso ventre molle allergico alle responsabilità e mai disposto a pagare un prezzo per difendere la libertà. Inutile girarci intorno: usando lo spauracchio del rischio nucleare, il pacifista Conte si iscrive nell’albo dei sostenitori di Putin.