Enzo Tortora, 40 anni dopo. La riforma della giustizia si faccia anche in suo nome

Quarant'anni dopo la morte di Enzo Tortora, arriva la riforma di giustizia dal ministro Nordio

Beppe Santini
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Quarant’anni fa Enzo Tortora fu arrestato dai carabinieri nella sua stanza dell’Hotel Plaza, a Roma, su ordine della procura di Napoli, con le infamanti imputazioni di essere un trafficante di stupefacenti e di essere affiliato alla Nuova Camorra Organizzata, cartello di clan capeggiato dal boss Raffaele Cutolo. Gran parte della stampa e dell’opinione pubblica si scagliò contro di lui con una ferocia pari solo all’inconsistenza di un quadro accusatorio basato solo sulle calunnie senza fondamento di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Pasquale Barra detto ‘o animale, lo stilnovista che prima di fingere di pentirsi uccise con decine di coltellate Francis Turatello profanandone il cadavere. I magistrati non avevano in mano alcun riscontro oggettivo: solo un nome letto male – c’era scritto Enzo Tortona -appuntato sull’agenda telefonica di un camorrista. Sarebbe bastato quel semplice riscontro per far crollare come un castello di carte tutto l’impianto accusatorio, invece i pm organizzarono un arresto spettacolare, in manette davanti alle telecamere, e dopo il primo interrogatorio era già chiaro che avevano preso un granchio colossale, ma invece di ammetterlo e chiedere scusa continuarono pervicacemente a indagare alla ricerca di prove introvabili perché inesistenti.

Nessuno dei pm che lo inquisirono ha mai pagato per quell’errore giudiziario viziato da un’evidente mania di protagonismo, anzi hanno tutti fatto carriera, Ha dunque ragione Enrico Costa di Azione quando afferma che lo Stato italiano non ha imparato nulla da quella vicenda, perché oggi come allora il magistrato che sbaglia non paga mai, e per l’Associazione nazionale magistrati non dovrebbe mai dovrebbe pagare. La corporazione ha sempre protetto sé stessa: otto condanne disciplinari negli ultimi dodici anni, il 99.6% di valutazioni di professionalità positive, archiviazioni disciplinari a raffica del Pg della Cassazione, mentre ogni anno in Italia si contano mille ingiuste detenzioni.

Enzo Tortora fu poi assolto, ma quella esperienza atroce lo condannò a una morte prematura: “Provate a mettervi nei panni di un uomo innocente che nel cuore della notte viene arrestato e trasformato pubblicamente in un mostro – ha scritto Emma Bonino, provate a immaginare la solitudine, la rabbia, la frustrazione, il senso di smarrimento per i propri cari, i colleghi, gli amici. I più giovani non ricordano l’arresto del 17 giugno 1983 di Enzo Tortora, di quel celebre conduttore televisivo che da ‘uomo perbene’ divenne ‘camorrista’ per un errore giudiziario. Dopo mesi di galera, di sofferenza, e dopo una battaglia politica con noi radicali, con Marco Pannella, Tortora ebbe il riconoscimento della sua innocenza ma l’atteggiamento colpevolista e giustizialista che lo colpì e che ancora oggi ha grande diffusione dimostra che siamo molto lontani da una concezione di giustizia giusta. Bisogna ricordare sempre che ciascuno è innocente fino a quando non ne viene data colpevolezza con sentenza definitiva e l’errore giudiziario ai danni di Tortora dimostra come l’approccio colpevolista non porti da nessuna parte. Dopo 40 anni siamo ancora qui, a spiegare che senza una giustizia davvero giusta non c’è libertà”. Parole di verità e di giustizia, eppure la riforma Nordio, appena avviata, ha già suscitato la ribellione del fronte giacobino, ossia del circuito mediatico-politico-giudiziario protagonista della lunga stagione della gogna e del principio di colpevolezza.

Essendo stata presentata alla vigilia del quarantesimo anniversario di quell’arresto tragicamente emblematico, la riforma Nordio dovrebbe chiamarsi “riforma Tortora”, per arrivare finalmente al giusto processo che scongiuri il ripetersi di una simile infamità. La questione giustizia incide sulla carne viva del Paese, sulla libertà dei cittadini e sulla stessa qualità della democrazia: è arrivato il momento di riportarla nell’alveo costituzionale, con un radicale cambiamento del nostro sistema penale e col superamento dei suoi mali congeniti, dalla lentezza dei processi all’abuso della custodia cautelare, dal protagonismo delle Procure al mercimonio di carriere decise dalle correnti, fino alle decapitazioni politiche per via giudiziaria. E’ stato l’esercizio anomalo del potere accusatorio, accompagnato dalla grancassa mediatica su maxi-inchieste troppo spesso finite nel nulla, a far precipitare la credibilità della magistratura, e il caso Tortora rimane, quarant’anni dopo, una vergogna di Stato.

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