Un anno fa un gruppo di accademici ed esperti si è riunito nell’Octe, acronimo sconosciuto all’opinione pubblica che significa “Osservatorio contro la transizione ecologica ed energetica”, e solo questo basterebbe ai pasdaran dell’ambientalismo per definirlo un’associazione negazionista. Uno dei principali referenti italiani è il professor Luca Marini, docente di Diritto internazionale a La Sapienza ed ex vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica che ha curato la pubblicazione di ”Ecotruffa: le mani sul clima” (Edizioni La Vela) a cui hanno contribuito climatologi, chimici, matematici, economisti e politologi. Il libro, il cui rigore scientifico è difficilmente contestabile vista l’autorevolezza degli autori, fornisce una serie di evidenze che confutano dalle fondamenta le politiche che starebbero portando l’Occidente verso una crisi irreversibile, dandosi degli obiettivi e dei tempi di riequilibrio ambientali irrealistici e insostenibili dal punto di vista economico-sociale.
Lo scopo istitutivo dell’Octe è proprio quello di “contrastare le azioni condotte dalle multinazionali, sotto il velo della sovranità di governi e organizzazioni liberisti e globalisti, per limitare diritti e libertà fondamentali mediante la mono-narrazione catastrofista relativa al Climate Change”. In altre parole, l’Octe intende smascherare il disegno che ha portato ad attribuire interamente all’uomo l’aumento della Co2, individuato come primo responsabile del cambiamento climatico. Una narrazione ormai consolidata che, tra le altre cose, ha indotto il Parlamento europeo a votare “lo scellerato progetto di convertire all’elettrico l’intera produzione europea di automobili”.
Nel parere sul piano “Fit for 55” dell’Unione europea l’Octe ha scritto che i continui allarmi climatici, rilanciati anche dalle agenzie dell’Onu e da altre organizzazioni internazionali, “costituiscono il substrato ideologico e politico delle azioni condotte da alcuni governi nazionali allo scopo di avviare una controversa transizione ecologica finalizzata, apparentemente, alla riduzione della Co2 antropica e del riscaldamento climatico che da essa deriverebbe, ma in realtà mirante alla riorganizzazione – prima di tutto sul piano culturale – di oltre un secolo di “progresso” fondato sulle fonti energetiche non rinnovabili”.
Gli scienziati dell’Octe rilevano che il catastrofismo climatico di origine antropica resta un concetto molto controverso, almeno quanto la sostenibilità socio-economica della transizione ecologica, e che il peso economico e sociale di queste azioni – che prevedono la rapida decarbonizzazione dei cicli produttivi su scala globale – finirà inevitabilmente per colpire, destabilizzandole, famiglie e imprese già impoverite dall’emergenza Covid.
L’obiettivo del “Fit for 55” è la riduzione del 55% delle emissioni antropiche di anidride carbonica entro il 2030 quale tappa fondamentale di quella “neutralità climatica” che si otterrebbe col totale azzeramento delle emissioni entro il 2050. Un progetto draconiano che non fa i conti con la realtà per l’impossibilità di coprire l’intero fabbisogno energetico attraverso fonti alternative e per gli effetti che avrebbe sull’economia e sui livelli occupazionali negli Stati europei, con una perdita di 600 mila posti di lavoro di cui 70 mila in Italia nel solo settore automotive. A fronte di un obiettivo ambientale difficilmente raggiungibile – che peraltro inciderebbe in modo marginale sull’emissione complessiva di Co2, visto che l’Europa ne produce appena il 7% a livello mondiale – di questo passo consegneremo alla Cina il monopolio globale del mercato dell’auto, essendo la detentrice quasi assoluta delle terre rare necessarie alla fabbricazione dei veicoli elettrici.
Ma l’Octe segnale un altro rischio, forse il più importante: i diktat ambientalisti dettati dagli interessi convergenti di élites finanziarie, organizzazioni internazionali, colossi mediatici e sinistre politiche, possono compromettere in modo significativo anche diritti e libertà individuali costituzionalmente garantiti nelle democrazie, tra cui la libertà d’iniziativa economica privata. Con un corollario ugualmente grave: l’impoverimento delle famiglie, che si vedrebbero svalutare il patrimonio immobiliare per la conversione ecologica. Si tratta di allarmi motivati su cui è giusto riflettere senza essere bollati come negazionisti, termine di cui si sta facendo un abuso scellerato.