Poesia e videoarte si mescolano nell’esordio alla regia del videomaker di Lauro: è la storia di due senzatetto che vivono sugli argini del Tevere ignorati dalla Roma bene sopra di loro
Il suo film figura nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma. E, infatti, il risultato è una pellicola che per farsi opera ha scandagliato le regioni più grigie della società e le ha rappresentate attraverso un sottile gioco di piani simbolici e un mix letale di poesia e videoarte. Bassifondi è l’opera-esordio di Trash Secco – all’anagrafe Francesco Pividori –, un artista poliedrico che ama l’arte tutta e la fa pure. Pittore e grafico, regista e videomaker (per Achille Lauro e Marracash), è fra le personalità più originali della scena romana contemporanea.
Accanto al lavoro certosino dietro la cinepresa, i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo e Greta Scicchitano firmano una sceneggiatura che trasuda romanità rabbiosa, malinconica e goliardica, l’unica possibile per Romeo e Callisto, i due senzatetto protagonisti. La pellicola, che ha una gestazione lunghissima, sfrutta il linguaggio poetico delle analogie e delle metafore per meglio esprimere la condizione di invisibilità sociale dei senzatetto, ma il vero protagonista è il suono, dai violini all’elettronica.
I protagonisti: Romeo Callisto, fratelli diversi
Romeo e Callisto sono due senzatetto, che si sentono fratelli di una fratellanza possibile solo perché nata dalla condivisione della stessa sofferenza. Si muovono in una Roma giallo-acre fra topi e nutrie. Dai muri scrostati, su cui campeggiano scritte nere, si intravedono i mattoni sottostanti. Dormono agli argini del Tevere. Hanno poche coperte e bevono latte scaduto. Ogni tanto con gli spicci racimolati comprano una focaccia bianca insipida e senza rosmarino. A parte loro, nessuno sembra abitare lì. Il mondo dipinto da Pividori è un generale vagare di ombre. La relazione fra i due è rocambolesca. Romeo è taciturno, spesso una lacrima solitaria gli riga il volto sporco. Parla solo Callisto e dice un sacco di parolacce: “Io non c’ho un cazzo, ma non me manca niente”. Rimprovera a Romeo la sua “inutile e ridicola vita senza decisioni”. Romeo controbatte: “Io una vita ce l’ho. Un figlio ce l’ho, anzi due. Una moglie ce l’ho. Io ho scopato”. Ma emerge da subito il legame viscerale e dipendente. L’uno è per l’altro l’unico essere umano che lo degna di uno sguardo.
La rabbia di non esser visti
Il film è un mosaico psichedelico di allusioni alla vista e all’assenza di essa. Romeo guarda il suo profilo sghembo attraverso le vetrine dei negozi, i teli trasparenti usati per coprirsi dal vento, il fondo di un barattolo di vetro, una pozzanghera. Sempre Romeo perde prima l’udito e poi la vista, in un graduale sottrarsi ai rumori e alle immagini di un mondo che, d’altronde, non l’ho mai davvero visto. Anche gli occhi ciechi e azzurrini di Romeo diventano lo specchio in cui Callisto può ritrovare sé stesso. Sul finale del film, Callisto, in cerca d’aiuto, elemosinerà lo sguardo dei passanti e nell’indifferenza generale, ammetterà: “Io voglio bene solo a Romeo”. L’opera prima di Trash Secco ci obbliga a guardare dritta negli occhi la miseria e per 94 minuti non ci è concesso distogliere lo sguardo dai due amici-fratelli. Tocca a noi tenerli in vita e perfettamente visibili, prima che ricadano nell’oblio collettivo della Roma di sopra.