I venti di guerra in Venezuela sembrano rinforzarsi sempre più, dopo che gli Stati Uniti stanno mettendo insieme il più grande dispiegamento navale nella regione dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962. Come un flashback spaventoso, si attende anche La USS Gerald Ford salpata da Spalato arriverà la prossima settimana. Si tratta della più grande portaerei della marina Usa, che porterà con sé 50 cacciabombardieri, 4.000 soldati e altre tre navi da guerra, unendosi ad una forza militare composta da 15 tra incrociatori e cacciatorpedinieri armati di missili Tomahawk, un sottomarino a propulsione nucleare, bombardieri B‑1 e B‑52, elicotteri delle forze speciali.
Sulle piste di Porto Rico inoltre sono pronti a decollare una decina di F-35 e una squadriglia di droni Reaper. Di fatto, una concentrazione di armamenti di gran lunga superiore a quella che sarebbe effettivamente necessaria per una operazione contro i cartelli venezuelani del narcotraffico, che il presidente a stelle e strisce, Donald Trump, ha ferma intenzione di voler combattere per dare un taglio definitivo al traffico di droga negli Usa.
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Insomma, una situazione che smuove acque internazionali da cui difatti si erge anche la voce della Russia che si dice interessata a garantire che l’atmosfera tra Venezuela e Stati Uniti “rimanga pacifica“. “Vogliamo che tutto rimanga pacifico e non vogliamo che sorgano nuovi conflitti nella regione. Il mondo è già pieno di conflitti, non ne abbiamo bisogno di nuovi“, ha sentenziato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, commentando l’articolo del Washington Post secondo cui il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, avrebbe inviato una richiesta al leader russo, Vladimir Putin, per la fornitura di missili, radar e aerei, sullo sfondo delle minacce statunitensi al suo Paese.
Intanto, l’inquilino della Casa Bianca ha negato pubblicamente di pianificare attacchi contro il leader venezuelano, ma ciò non riesce a lenire le tensione legate ad una possibile escalation, con la possibilità dei primi attacchi statunitensi a Caracas. Difatti, l’aggiunta del gruppo d’attacco guidato dalla portaerei potrebbe indicare che l’espansione delle operazioni sia imminente.
Il pressing statunitense ha avuto inizio con una serie di raid contro presunte imbarcazioni di narcos, che hanno causato finora almeno 61 vittime, e con il disco verde del commander in chief ad operazione coperte della Cia in Venezuela. Inoltre, stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, sarebbe già pronta la lista di obiettivi da colpire, tra cui figurano porti e aeroporti dove – secondo l’intelligence Usa – i trafficanti di droga possono contare su coperture dell’esercito e delle milizie di Caracas. Un modo per sottolineare, come ha detto la scorsa settimana il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che “in Venezuela c’è un narco-stato governato dai cartelli“.
E così, mentre Maduro chiede l’aiuto di Russia, Cina e Iran, l’Onu condanna i raid Usa e senza mezzi termini afferma che “violano il diritto internazionale e costituiscono omicidi extragiudiziali“. I dem al Congresso, con qualche repubblicano, invece chiedono all’amministrazione quale sia la giustificazione legale degli attacchi. Ma l’atmosfera sembra preannunciare il ritorno dei fantasmi dei numerosi colpi di stato della Cia in Sud America.
Intanto, inoltre, gli Usa hanno messo una taglia di 50 milioni di dollari su Maduro, dopo il fallito tentativo di corrompere il suo pilota per deviare il suo aereo e consentire alle autorità americane di catturarlo. “Maduro sta per trovarsi intrappolato e potrebbe presto scoprire che non può fuggire dal Paese, anche se lo volesse“, ha detto al Miami Herald una fonte vicina alla pianificazione militare Usa. “Quel che è peggio per lui – ha spiegato – è che ora c’è più di un generale disposto a catturarlo e consegnarlo, pienamente consapevole che una cosa è parlare di morte, un’altra è vederla arrivare“.
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