Donald Trump è ormai il protagonista indiscusso di questo 2015. A poco più di sei mesi dall’insediamento alla Casa Bianca, il 47esimo presidente degli Stati Uniti è intervenuto su più dossier, alcuni interamente inventati da lui, conquistandosi lo status di leader occidentali più imprevedibile, e quindi pericoloso. Dazi e guerre sono i due argomenti maggiormente affrontati e, dopo la conclusione del conflitto in Iran, il miliardario è tornato ad occuparsi di Gaza.
Dal 7 ottobre 2023 la Striscia vive sotto il fuoco incrociato di Israele e Hamas. Da 21 mesi, i palestinesi non conoscono la libertà, la pace o la spensieratezza. A quasi due anni dallo scoppio di uno dei conflitti più sanguinosi del 21esimo secolo, le comunità internazionali assistono inermi al proseguire della guerra. Lo Stato ebraico non ha intenzione di porre fine agli attacchi senza garanzie di sicurezza e un accordo di cessate il fuoco con l’organizzazione terroristica palestinese.
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Il Tycoon ne è più che consapevole e oggi ha sfruttato i suoi canali social per annunciare che Israele ha accettato l’accordo per una tregua di 60 giorni a Gaza. Ora è il momento che anche Hamas lo faccia per avvicinare le possibilità di un cessate il fuoco definitivo sul territorio. “Lavoreremo con tutte le parti per mettere fine al conflitto“, ha scritto su Truth, annunciando che secondo le sue stime entro una settimana si dovrebbe giungere ad un’intesa definitiva.
Gli obiettivi degli Stati Uniti su Israele e Gaza
Una tempistica che sembra poco realizzabile, ma che al contempo potrebbe servire per pressare Hamas. Lunedì prossimo il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, volerà a Washington per incontrare Trump. Si tratta del terzo incontro dall’insediamento del Tycoon, ma questo potrebbe essere decisivo per le sorti del conflitto. Una delegazione israeliana, con a capo il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer, si trova già nella capitale Usa per incontrare il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, il vicepresidente JD Vance e l’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff.
I tre tratteranno proprio di questo accordo, così come della ripresa di colloqui tra lo Stato ebraico e l’Arabia Saudita, dell’intesa per la normalizzazione dell’Oman e della dichiarazione storica di una fine delle ostilità con la Siria. L’incontro tra Trump e Netanyahu potrebbe invece concentrarsi principalmente sulla tregua a Gaza, una delle priorità del Tycoon. Il presidente Usa sta già lavorando al piano di ricostruzione della Striscia, con il proposito di coinvolgere nell’iniziativa i Paesi arabi.
Trump e Netanyahu: il nodo dell’Iran
Non deve essere dimenticato, poi, il dossier iraniano. La guerra dei 12 giorni, come è stata ribattezzata da Trump, potrebbe non aver del tutto risolto i problemi esistenti tra lo Stato islamico e Israele. La questione fondamentale riguarda infatti la presenza di uranio arricchito nel Paese, che potrebbe non essere stato distrutto dagli attacchi di Gerusalemme e Washington.
Gli Stati Uniti sono al lavoro per cercare di riaprire i negoziati con l’Iran per raggiungere un nuovo accordo di non proliferazione con Teheran. Quest’ultima, però, ha già dichiarato di non essere disponibile a rinunciare all’uranio arricchito, per cui è possibile che Israele e Usa possano decidere di procedere con un nuovo attacco contro l’Iran. Resta però da comprendere in quale sito possa trovarsi l’uranio e in che modo giungere alla sua distruzione.
Al momento, sembra che l’attacco di 10 giorni fa abbia solamente provocato un rallentamento dei piani sul nucleare di Teheran. Israele e Usa, come ricorda Stefano Stefanini su La Stampa continuano a “vincere la guerra ma a perdere la pace“. Una narrazione distorta, che accontenta l’amministrazione Usa, ma non risolve il problema di fondo: con le bombe non si può raggiungere la cessazione delle ostilità. Gli Stati Uniti si concentrano sui nuovi negoziati, con la speranza di poter trovare un’intesa redditizia che elimini almeno per alcuni anni la minaccia rappresentata dall’Iran.
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