I dazi di Trump travolgono Canada e Messico: i settori più colpiti e le conseguenze anche per gli Usa

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La scure di Donald Trump ha iniziato a calare. L’Europa è ancora salva, nonostante le dichiarazioni delle scorse settimane del presidente Usa, ma il Canada e il Messico da oggi subiranno le conseguenze dei dazi al 25% promessi da Trump. Inclusa anche la Cina, che però ha tariffe rialzate fino al 20%, come confermato dal titolare della Casa nel corso di una conferenza stampa ieri pomeriggio.

L’annuncio definitivo di Trump era giunto lo scorso 2 febbraio ma le trattative con Canada e Messico avevano permesso ai tre Paesi di raggiungere un accordo. Trump avrebbe rimandato di un mese l’entrata in vigore dei dazi, in cambio di un impegno delle due Nazioni nel contrasto all’immigrazione illegale e al contrabbando del Fentanyl. I due Paesi hanno compiuto passi in avanti, ma non abbastanza per soddisfare il presidente Usa.

Oggi inizia dunque un’era diversa, che però è solo un inizio e non una vera e propria conclusione. Il prossimo 12 marzo, infatti, entreranno in vigore le nuove tariffe su acciaio e alluminio, che colpiranno l’export di Canada e Messico. Il 2 aprile, poi, scatteranno ulteriori tre tariffe, tra cui quelle reciproche che coinvolgono automobili, prodotti farmaceutici e agricoli. La giornata di oggi, quindi, pone definitivamente fine alla grande area di libero mercato nata nel 1992 e riformata poi nel 2018.

Le conseguenze sull’economia Usa dei dazi di Trump

Per citare il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, “una guerra commerciale non conviene neanche agli Stati Uniti“. Le nuove tariffe nei confronti di tre dei maggiori esportatori negli Usa avranno infatti dure ripercussioni anche negli Usa. In risposta ai dazi statunitensi, il Canada ha infatti deciso di imporre immediatamente tariffe del 25% su quasi 100 miliardi di dollari di beni importati dagli Stati Uniti in due ondate. Allo stesso tempo, la Cina ha annunciato annunciato ritorsioni sui prodotti alimentari e agricoli statunitensi e altre misure contro le aziende americane.

Gli economisti Usa hanno poi confermato che gli importatori e le aziende americane probabilmente trasferiranno il costo dei dazi sui consumatori, provocando quindi un aumento dei prezzi nei supermercati e nelle concessionarie di automobili. Un duro colpo per i cittadini Usa, che si aggiunge alle incertezze legate al rialzo dell’inflazione e ai primi segnali di stagnazione legata alla contrazione degli ordini industriali e dal rallentamento del mercato del lavoro.

Il settore maggiormente a rischio è quello della produzione di automobili. Secondo l’amministratore delegato di Ford Motors, Jim Farley, i dazi prolungati su Canada e Messico “avrebbero un impatto enorme sul nostro settore, con miliardi di dollari di profitti del settore spazzati via“. Inoltre, nel caso in cui le due economie dovessero subire i contraccolpi dei dazi e quindi entrassero in recessione, secondo Michael Feroli, economista capo statunitense di JPMorgan Chase, è possibile che anche “le esportazioni statunitensi verso quei Paesi rallentino“.

I nuovi investimenti degli Usa

Nella stessa conferenza stampa, Trump ha annunciato l’investimento, da parte della Taiwan Semiconductor Manufactoring Co, di 100 miliardi di dollari negli Usa per la costruzione di impianti per la produzione “dei chip più potenti del mondo“. Migliaia di posti di lavoro in più e soprattutto la possibilità di continuare a investire nell’Intelligenza Artificiale.

L’accordo è per Trump un enorme successo, in quanto “senza semiconduttori non c’è economia“. Si tratta quindi di una risposta alle mancanze dell’industria Usa, costretta a cercare all’estero strumenti ed elementi che non è ancora in grado di produrre in autonomia. Nello specifico, i semiconduttori Usa sono importati da Taiwan, isola che rischia l’invasione dalla Cina e di conseguenza di lasciare gli Stati Uniti senza un asset fondamentale.

Si ipotizza, dunque, che il piano di Trump preveda un rafforzamento dell’economia in questo senso, con una sempre maggiore indipendenza del Paese rispetto agli Stati esteri e soprattutto con un incremento delle industrie e delle aziende negli Usa, così da alzare le percentuali di occupazione e dare uno scossone al reparto industriale.

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