Shalom (che in italiano vuol dire pace) così Yocheved Lifshitz saluta il suo rapitore mentre stringe la sua mano nelle sue, durante le operazioni di liberazione. Una donna di 85 anni che è stata rapita nella sua casa da Hamas e che ha subito sulla sua pelle le violenze di una guerra barbara che, però, non le ha tolto l’umanità né la voglia di lottare per la pace del suo Paese. Yocheved è sopravvissuta a 17 giorni di prigionia, ma prima di tornare libera ha comunque voluto salutare uno dei suoi rapitori, che ha avuto la forza di perdonare.
Shalom: un segno di speranza
Un’immagine che stona con i racconti della rivalità tra due popoli costretti a lottare per il predominio della stessa terra, che nessuno dei due vuole abbandonare. Un segno di speranza e di pace scambiato tra due persone che in questo conflitto sono nemiche ma che nella realtà soffrono allo stesso modo. Una sofferenza nata da decisioni prese da altri ma che oggi pagano i cittadini musulmani ed ebrei della Palestina, che dal 7 ottobre vivono le atrocità di una guerra ingiusta che non sembra intenzionata a fermarsi.
Il racconto, “sono stata all’inferno”
“Sono stata all’inferno”, così inizia a raccontare in ebraico l’ottantacinquenne, ormai famosa per il suo “shalom”, liberata dalle milizie di Hamas, mentre sua figlia traduce per i giornalisti presenti. “Il 17 ottobre Hamas ha fatto irruzione nel nostro Kibbutz e ci ha rapiti con la violenza. Mi hanno rubato orologio e gioielli e colpito più volte con un bastone, non riuscivo a respirare per il dolore”. Un racconto straziante che fa ancora più male se si vedono le immagini che immortalano una donna anziana in sedia a rotelle, circondata dalla famiglia che la guarda con apprensione. Anche suo marito è stato rapito ma di lui non si hanno ancora notizie. È stato infatti portato in un tunnel diverso da quello della moglie, che l’ha visto per l’ultima volta proprio durante i terribili attimi del sequestro, nella loro abitazione.
“Ci hanno fatto camminare per chilometri, in superficie e nei tunnel, poi ci hanno tenuto in uno stanzone. Eravamo 25, tra volti famosi e non. Nei tunnel, però, ci hanno trattato bene”. Dichiarazioni che sorprendono e che mostrano un lato dei miliziani di Hamas, finora descritti come terroristi, che nessuno avrebbe mai immaginato. “Il personale medico veniva ogni giorno, e curava chi ne aveva bisogno. Pulivano il bagno regolarmente e ci davano abiti puliti”.
Nessun trattamento gentile però può restituire la libertà a coloro che ancora sono nelle mani degli squadroni palestinesi, ed è proprio a loro che si rivolge Sharone, figlia di Yocheved: “Continuiamo a pensare a nostro padre che è a Gaza, alle madri, ai padri, alle sorelle e ai figli che non hanno notizie. Vi preghiamo di continuare a parlare di loro. Riportiamoli a casa”.
Guerra Israele-Palestina, le responsabilità del governo israeliano
Durante la conferenza stampa che ha visto protagonista Yocheved Lifshitz, questa non ha evitato di attaccare il governo israeliano, colpevole, secondo lei, di aver sottovalutato gli attacchi che già nei giorni precedenti si erano verificati nel suo kibbutz. “Siamo stati il capro espiatorio del governo. Avevamo avuto degli avvertimenti tre settimane prima, si erano avvicinati alla strada, avevano bruciato i nostri campi. L’esercito non ha preso la cosa sul serio”. Forse, se qualcuno avesse compreso la pericolosità della situazione, oggi Yocheved sarebbe ancora accanto a suo marito, nella loro casa nel kibbutz di Nir Oz.
In queste ore continuano, intanto, i processi di mediazione per liberare gli ostaggi israeliani, tenuti in luoghi non ancora individuati. A mediare un team del Qatar, il cui emiro è da anni il principale finanziatore di Hamas.