Gli Stati Uniti hanno attaccato con un raid aereo un convoglio di armi iraniane in Siria, uccidendo l’autista di uno dei veicoli e un bambino. Questo attacco contro i pasdaran ha riacceso le tensioni tra Usa e Iran, in un momento in cui i due paesi discutono della ripresa dei negoziati sul nucleare, poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi.
Siria, l’attacco Usa al convoglio iraniano
Il raid aereo statunitense contro i pasdaran – il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica – è avvenuto nel distretto di Abu Kamal, in Siria, a due passi dalla frontiera con l’Iraq. Questa zona è un tratto importantissimo per il corridoio iraniano, il quale collega l’Iran al Mediterraneo attraverso il passaggio in Iraq e in Siria.
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I media locali e panarabi hanno riferito che l’attacco aereo presumibilmente è stato fatto con un drone e ha colpito un convoglio di armi iraniane che provenivano dall’Iraq ed erano destinate agli Hezbollah libanesi. Questi sono impegnati da mesi nella violentissima guerra contro Israele, alleato degli Usa. I media riportano la morte dell’autista di uno dei veicoli del convoglio e anche quella di un bambino.
Il fronte armato diretto dall’Iran si è attivato da subito nel contesto del conflitto israelo-palestinese iniziato a ottobre 2023, non solo dal Libano degli Hezbollah, ma anche dallo Yemen degli Houthi, dall’Iraq delle milizie sciite filo-iraniane, presenti anche nella vicina Siria. Dopo diversi attacchi continui da parte di questo fronte variegato contro Israele e Usa, dai mesi primaverili c’era stata una pausa degli attacchi missilistici contro le basi Usa in Iraq e Siria.
Ma nell’ultimo periodo sono ripresi a causa di una ridefinizione degli equilibri in Siria a favore di Russia e Turchia e a scapito dell’Iran. Le forze iraniane quindi si sono di nuovo attivate contro gli obiettivi statunitensi, nei pressi dei principali pozzi di petrolio nell’est della Siria, e forze curdo-siriane sostenute dai 900 militari americani nell’area. Il raid aereo statunitense avvenuto poche ore fa non è stato rivendicato dal comando militare nella regione, ma lascia trasparire la ripresa dei negoziati anche attraverso l’uso della forza armata.
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