Gli attentati terroristici avvenuti in Russia, oltre ad aver devastato due chiese ortodosse e due sinagoghe, hanno colpito duramente anche un posto di blocco della polizia, dove sono stati uccisi sei agenti. Tra le vittime si contano anche una vigilante e un poliziotto di guardia a una delle sinagoghe attaccate. Secondo il ministero dell’Interno del Daghestan, complessivamente sedici persone, di cui tredici agenti di polizia, sono rimaste ferite. Questi attacchi sembrano essere stati coordinati per massimizzare il caos e la confusione.
In un altro episodio, uomini armati hanno aperto il fuoco contro un veicolo che trasportava agenti di polizia, ferendone uno, a Sergokala, un villaggio situato tra Makhachkala e Derbent. L’attacco in questione rientrerebbe nel distretto di Sergokalinsky, il cui capo, Magomed Omarov, è stato arrestato per il presunto coinvolgimento dei suoi figli negli attacchi, aggiungendo un ulteriore strato di complessità alla già intricata situazione.
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La risposta della Russia agli attacchi
Il Comitato antiterrorismo russo ha annunciato in tarda serata la fine della “fase attiva” dell’operazione antiterrorismo a Derbent, dichiarando che due attentatori sono stati uccisi. Secondo il ministero dell’Interno del Daghestan, le forze dell’ordine hanno anche “eliminato quattro aggressori a Makhachkala“. Queste operazioni sono parte di una risposta più ampia delle autorità russe per contenere la minaccia terroristica nella regione. Il presidente del consiglio pubblico delle comunità ebraiche della Federazione Russa, Boruch Gorin, ha confermato che le sinagoghe di Derbent e Makhachkala sono state date alle fiamme, causando danni materiali quanto morali alle comunità religiose locali.
Il leader del Daghestan, Sergei Melikov, ha definito gli attacchi “un tentativo di destabilizzare la società“, un sentimento echeggiato da altre autorità regionali e nazionali. Il patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa e convinto sostenitore del Cremlino, ha assicurato che il “nemico” cerca di distruggere la “pace interreligiosa“ in Russia piantando “i semi dell’odio“. Anche il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, ha definito gli attacchi “una vile provocazione e un tentativo di causare scontri tra religioni“. Ha dichiarato a Ria Novosti che i responsabili delle stragi “non hanno fede né nazione” e sono “non-persone che devono essere uccise sul posto“.
Una lunga serie di attentati
Il Daghestan è stato teatro di violenti disordini antisemitici in ottobre, quando una folla di uomini invase la pista dell’aeroporto di Makhachkala all’atterraggio di un aereo proveniente da Israele. Negli ultimi anni, la Russia è stata presa di mira in più occasioni dall’Isis, con un attacco a marzo al centro eventi Crocus alla periferia di Mosca che costò la vita a più di 140 persone. Lo scorso fine settimana, diversi membri dell’Isis sono stati uccisi dopo aver preso in ostaggio due agenti penitenziari in una prigione nel sud della Russia.
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, ha definito il massacro in Daghestan un “vile attacco terroristico”, paragonandolo all’attacco a Sebastopoli. Medvedev ha scritto su Telegram che “tutto ciò che è accaduto in Crimea non è stata un’azione militare, ma un vile e atroce attacco terroristico contro il nostro popolo, commesso in una festività ortodossa, come il massacro in Daghestan, compiuto da estremisti. Per noi non c’è differenza tra il regime di Bandera (leader ultranazionalista ucraino durante la Seconda Guerra Mondiale) e i pazzi fanatici”.
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