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Pizzaballa senza parole su Gaza: “Violenza, povertà, fame, la gente è allo stremo”

"La soluzione due popoli due Stati è quella ideale, ma ora Israele la rifiuta e va quindi trovata una formula creativa", ha spiegato, per poi aggiungere che il ruolo della Chiesa in questo senso dovrà essere quello della mediazione. Un tentativo di cambiare narrazione, per evitare che la propaganda vada a "disumanizzare" l'una o l'altra parte

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Pierbattista Pizzaballa, cardinale e patriarca di Gerusalemme, fatica a trovare le parole per descrivere la situazione in Medio Oriente. Dopo 21 mesi di guerra, la Striscia di Gaza vive uno dei suoi momenti più duri. Privata nuovamente di cibo e beni essenziali, a causa del timore di Israele che questi possano essere depredati da Hamas, la popolazione palestinese assiste ancora una volta ad una violazione dei propri diritti. “Le parole non riflettono la gravità della situazione sotto ogni punto di vista“, ha spiegato ad Avvenire, chiarendo che anche la Parrocchia della Sacra Famiglia comincia ad avere difficoltà.

La struttura si trova a nel quartiere Zeytun di Gaza e ospita 54 fedeli, 3 sacerdoti, 5 religiose e un centinaio di bambini disabili. Prima dell’inizio del conflitto, la Parrocchia ospitava più di 1000 persone. Ora la paura è troppa e chi ha potuto si è allontanato dai bombardamenti e dalla fame. “Sono spaventati“, racconta Pizzaballa, confessando che ciclicamente riceve telefonate di chi cerca rassicurazione e speranza.

I raid colpiscono tutto intorno alla parrocchia e gli ordini di evacuazione sono sempre più numerosi. Lo stress e l’ansia salgono così alle stelle. Le preghiere sono tutte rivolte alla pace, un concetto che ormai sembra lontanissimo dalla realtà dei gazawi. Eppure, tra le esplosioni, le macerie e le porzioni di cibo ridotte al minimo, la speranza non si ferma. “I bambini della parrocchia mi colpiscono: sono un centinaio, di cui tre nati durante la guerra. Giocano sempre. Non so come riescano a farlo“, ha raccontato il Patriarca di Gerusalemme.

Pizzaballa: “Le riserve di cibo stanno finendo”

Pizzaballa sottolinea poi il continuo lavoro della Sacra Famiglia, che non ha mai fermato la sua opera in questi 21 mesi di conflitto. La Parrocchia ha continuato ad organizzare attività pastorali, formative ed educative, proseguendo la sua missione e aiutando tutti coloro che hanno avuto bisogno in questo periodo. A peggiorare la situazione è la continua mancanza di viveri. “La gente è allo stremo“, come sottolinea il cardinale, che ha ricordato come gli ultimi aiuti arrivati alla parrocchia risalgano allo scorso 18 marzo, giorno del cessate il fuoco.

Da quel momento hanno fatto le formiche“, ha spiegato, chiarendo che i religiosi hanno accumulato alcune scorte nel corso della tregua e grazie ad esse sono andati avanti. Inoltre, tali riserve sono state condivise con i residenti del quartiere, per aiutarli a sopravvivere. “Ora le riserve stanno finendo“, ha chiarito Pizzaballa, con una certa preoccupazione scritta in volto. La situazione della Sacra Famiglia è la stessa di decine di migliaia di persone che vivono nella Striscia.

Pizzaballa: “Parlare di pace è prematuro”

La pace è quindi sempre più fondamentale. Anche il Cardinale, però, riconosce la difficoltà di questo intento. “Parlarne ora mi pare prematuro“, ha sostenuto, chiarendo che ora è necessario creare le condizioni per il suo raggiungimento, aprendo percorsi che siano finalizzati alla pacificazione del territorio. Il primo passo, secondo il Patriarca, è quello del cessate il fuoco, su cui le posizioni delle due parti sembrano più flessibili. Poi si dovrà pensare alla ricostruzione e alle garanzie di sicurezza per il territorio.

La soluzione due popoli due Stati è quella ideale, ma ora Israele la rifiuta e va quindi trovata una formula creativa“, ha spiegato, per poi aggiungere che il ruolo della Chiesa in questo senso dovrà essere quello della mediazione. Un tentativo di cambiare narrazione, per evitare che la propaganda vada a “disumanizzare” l’una o l’altra parte. “La Chiesa non può farlo da sola“, ha poi tuonato convinto, sostenendo che in questo progetto dovranno essere coinvolte le altre fedi, al fine di collaborare con le organizzazioni e i movimenti per il dialogo che sono presenti nelle realtà palestinesi e israeliane.

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